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PENSIONI, AL DEBUTTO LA PACE CONTRIBUTIVA

Il recupero dei buchi contributivi, previsto nel famoso “decretone” su Quota 100 e Reddito di cittadinanza (decreto legge n. 4/2019), può essere richiesto anche dal datore di lavoro per il proprio dipendente. Questa possibilità è riservata esclusivamente al settore privato e comporta per l’azienda l'obbligo al pagamento dei relativi oneri. Le spiegazioni sono contenute nell’informativa al nuovo modulo (AP135), pubblicato il 28 febbraio dall'Inps sul sito Internet, da utilizzare per fare richiesta della nuova ipotesi di riscatto (la c.d. “pace contributiva”). L’ente ha dato così il via libera anche alle domande.

Il nuovo riscatto. La misura è destinata ad agevolare i soggetti più giovani, quelli che hanno iniziato a lavorare dopo il 1995, con carriere discontinue. La facoltà, infatti, è riservata esclusivamente ai soggetti in regime contributivo, che cioè non hanno contributi versati entro il 31 dicembre 1995, cosa che li renderebbe appartenenti al regime misto. Una condizione fondamentale: se dopo il riscatto venissero acquisiti contributi collocati prima del primo gennaio 1996, questo comporterebbe l'annullamento d'ufficio del riscatto, con la conseguente restituzione degli importi versati.

I buchi contributivi. Come detto, il riscatto si riferisce ai “buchi contributivi”, a periodi, cioè, non coperti da contribuzione, comunque versata e accreditata, presso forme di previdenza obbligatoria. I periodi riscattabili sono quelli compresi tra la data di prima iscrizione alla previdenza (necessariamente successiva al 31 dicembre 1995) e l'ultimo contributo pagato all'Inps. Di questi periodi, il lavoratore ha facoltà di scegliere quali e quanti recuperare, nel limite massimo di cinque anni, anche non continuativi.

Il costo. La facoltà del riscatto è esercitata su domanda dell'interessato o anche dei suoi superstiti o dei suoi parenti e affini fino al secondo grado (in questo caso, evidentemente, al fine di maturare il minimo per una pensione di reversibilità), oppure su domanda del suo datore di lavoro. Nel modulo pubblicato nel sito Web dell’Inps, la persona che presenta la domanda è definito “richiedente”, mentre la persona per la quale è chiesto il riscatto è il “beneficiario”.

Quest'ultimo deve espressamente acconsentire che il richiedente possa fare la domanda di riscatto accollandosene il relativo onere. Per il calcolo di quest’ultimo si utilizzano gli stessi criteri applicati per il riscatto della laurea, ossia applicando l'aliquota contributiva vigente nella gestione presso la quale è stata fatta domanda di riscatto a una retribuzione/reddito pari a quella/quello meno remota rispetto alla data di domanda. L'onere del riscatto può essere sostenuto anche dall’azienda, attingendo eventualmente dai “premi di produzione” spettanti al lavoratore.

Le agevolazioni. Due sono le agevolazioni. La prima è di natura fiscale, e prevede che l'onere del riscatto sia detraibile dall'imposta lorda in misura del 50% con una ripartizione in cinque quote annuali costanti e dello stesso importo. In pratica, metà del riscatto è pagata dallo Stato. La seconda agevolazione è nella forma di pagamento. Oltre al versamento in unica soluzione, l'interessato può decidere di pagare il riscatto in forma dilazionata, in un massimo 60 rate mensili (elevati a 120 nel testo approvato al Senato), ciascuna di pari importo, non inferiore a 30 euro, senza applicazione di interesse per la rateizzazione. Se è il datore di lavoro a fare il riscatto, non si applicano le predette agevolazioni, ma i relativi costi sono deducibili sia dal reddito d'impresa sia da quello di lavoro dipendente del diretto beneficiario.

www.inps.it

Leonardo Comegna