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PENSIONI, LE PROPOSTE DI MODIFICA SUL TAPPETO

Il 13 marzo scorso avrebbe dovuto essere un giorno importante per la “rivisitazione” delle forme di flessibilità relative al pensionamento anticipato. Per quel giorno era in programma l’ennesimo incontro tra Ministero del Lavoro e organizzazioni sindacali, durante il quale avrebbero dovuto essere sciolti i nodi riguardanti le risorse a disposizione.

In quell’occasione il Ministero avrebbe dovuto presentare le prime stime riguardanti i costi delle misure pensate dai sindacati, e allo stesso tempo avrebbe dovuto illustrare delle misure alternative, con un impatto economico meno importante. Ma così non è stato, per via della nota emergenza sanitaria. Se ne riparlerà, se tutto va bene, a fine anno, a ridosso della manovra economica (la Legge di Bilancio 2021).

Secondo le prime indiscrezioni la nuova misura di flessibilità dovrà avere un costo più basso di Quota 100. Ecco perché si parla della possibilità di introdurre una Quota 101 o 102, con penalizzazioni sull’assegno per coloro che decidono di anticipare l’uscita dal mercato del lavoro. A queste proposte si aggiunge quella più “gettonata” avanzata dall’ex ministro Cesare Damiano insieme all’attuale sottosegretario all’Economia Paolo Baretta. La quale fissa il requisito anagrafico a 63 anni, con variazioni per quello contributivo in base alla categoria lavorativa di appartenenza. Ma andiamo con ordine e vediamo meglio cosa “bolle in pentola”.

Pensione a 63 anni. Come noto, da tempo l’Inps chiede di attuare una riforma che possa portare a un nuovo sistema di flessibilità in uscita. Un sistema in cui non si dovrà tener conto solamente dell’età anagrafica della persona ma anche, e soprattutto, del tipo di attività svolto nella maggior parte della vita lavorativa.

Dello stesso parere Cesare Damiano e Paolo Baretta, che hanno rispolverato la loro proposta di legge di inizio della legislatura (nel 2013), in cui si ribadisce la necessità d’individuare “la flessibilità come puro portante del nuovo sistema”. Specialmente adesso che progressivamente ci avviciniamo al sistema contributivo puro, che “decollerà all’incirca dopo il 2030”. Una proposta definita “più razionale” rispetto a quelle avanzate dai sindacati.

Superare la riforma Fornero, d’altra parte, non è affatto semplice. Per farlo bisogna avere le coperture finanziarie, e le risorse a disposizione non sono mai abbastanza. Ecco perché bisogna pensare a una misura sostenibile nel tempo, come quella che fa riferimento all’età pensionabile pensata per l’Ape sociale: 63 anni di età.  D’altronde, la stessa legge Fornero inizialmente aveva individuato in 62 anni la soglia di riferimento per l’accesso alla pensione di coloro che rientrano interamente nel sistema contributivo. Ecco, si potrebbe partire da questa soglia che, tenendo conto degli aumenti delle aspettative di vita, oggi sarebbe pari appunto a 63 anni.

I giovani. Sul fronte dei “nuovi lavoratori”, coloro che avranno la pensione calcolata esclusivamente con il metodo “contributivo”, la proposta di legge fa riferimento a 37 anni di contributi. Nei fatti, quindi, la pensione a 63 anni non sarebbe altro che una nuova “Quota 100”, ma con un limite di età differente di quello previsto oggi (62 anni). Ma ci sarebbe un’altra importante novità. Affinché questa misura di flessibilità possa essere sostenibile, vi sarebbe una penalizzazione del 2% per ogni anno di uscita anticipata (la stessa penalizzazione prevista nella legge Fornero, poi abolita nel 2018). Andando in pensione a 63 anni, per esempio, l’assegno verrebbe ridotto dell’8%, e così via.

 

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