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RIVALUTAZIONE PENSIONI, UN ALTRO NO DALLA CONSULTA

I numerosi pensionati che continuano a chiedere alla Corte costituzionale di rimuovere il blocco della rivalutazione delle pensioni d'importo superiore a 6 volte il minimo (circa 3mila euro mensili), devono mettersi l’animo in pace una volta per tutte.  La Consulta considera legittimo il "raffreddamento" per un triennio della rivalutazione per le pensioni d’importo elevato.

In attesa del deposito della sentenza, la Corte fa sapere che è stato ritenuto legittimo il "raffreddamento della perequazione", in quanto ragionevole e proporzionato. È stato ritenuto legittimo anche il "contributo di solidarietà", ma non per la durata quinquennale, perché eccessiva rispetto all’orizzonte triennale del bilancio di previsione dello Stato. Pertanto, il contributo rimarrà operativo per tutto il 2021. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

La perequazione. È l’automatismo che consente l’adeguamento delle pensioni al costo della vita Istat in modo da salvaguardare, in qualche misura, il reale potere d’acquisto. La disciplina risale alla Legge finanziaria 1999, modificata più volte (specie negli anni di crisi) per ridurre la spesa pubblica. Dal 2001 la perequazione attribuisce questi aumenti: 1) 100% dell’indice Istat alla quota di pensione fino a 3 volte il Trattamento minimo Inps (pari attualmente a 515,07 euro);

2) 90% alla quota fra 3 e 5 volte;

3) 75% alla quota superiore a 5 volte. 

Con l’eccezione del 2008 (non ci fu perequazione per le pensioni superiori a 8 volte il minimo), il criterio è rimasto valido fino al 2011. Negli anni 2012 e 2013, la riforma Fornero ha attribuito la rivalutazione al 100% alle pensioni fino a 3 volte il minimo, e nessuna a quelle d’importo superiore. L’operazione, però fu censurata dalla sentenza 70/2015, che da una parte rendeva felici i pensionati, dall’altra gettava nel panico il Governo temendo ripercussioni sui già difficili conti pubblici.

Il contentino.  Consapevole dell’impossibilità di scaricare sul bilancio statale la spesa necessaria ad applicare la sentenza, il Ministro del lavoro di allora Giuliano Poletti corse ai ripari introducendo una misura ad hoc. L’operazione portò alla rielaborazione delle perequazioni dal 2012 al 2015.

Effetto trascinamento.  Vale la pena sottolineare che il blocco della rivalutazione non interessa solo le annualità in cui ha effettivamente operato il congelamento, ma si trascina in modo strutturale in tutti gli anni successivi. La mancata indicizzazione riduce infatti la base del rateo di pensione su cui ogni anno si applica la perequazione e, quindi, l'importo messo in pagamento risulta ogni anno inferiore.

Non bisogna dimenticare, infine, che dal 1992 tutte le rendite non sono più agganciate agli aumenti contrattuali dei lavoratori in attività (come avveniva in precedenza), ma solo all’inflazione, e in modo parziale. In poco più di vent’anni, insomma, gli assegni Inps hanno visto praticamente evaporare il loro potere d’acquisto

 

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