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RIFORMA DELLE PENSIONI, LE ALTERNATIVE IN CAMPO

Mancano meno di sei mesi al 31 dicembre. Che, tra le altre cose, sarà l'ultimo giorno di Quota 102, formula che consente di uscire dal mondo del lavoro a chi ha 64 anni di età e 38 di contributi.

A partire dal 2023 i requisiti richiesti per il pensionamento saranno quelli stabiliti dalla riforma Monti-Fornero. E cioè 67 anni di età con 20 anni di contributi. Oppure la pensione anticipata (l’ex anzianità) dopo 42 anni e dieci mesi di contributi (41 anni e dieci mesi per le donne). Requisiti, questi ultimi, validi fino a tutto il 2026.

Il punto della situazione sul sistema previdenziale è contenuto nel consueto Rapporto annuale dell'Inps, riferito all’anno 2021, illustrato l’11 luglio presso la camera dei deputati. Occasione con la quale il presidente Pasquale Tridico ha proposto diverse idee, affinché il sistema possa reggere in futuro.

 

Questione di risorse. L'orientamento generale è di varare una riforma compatibile con la situazione delle casse pubbiche. A questo proposito, nel 2021 la spesa per le pensioni è stata di 218,16 miliardi di euro, dei quali 195,4 a carico delle gestioni previdenziali e 23,2 di quelle assistenziali. Nel corso del 2023, per indicizzare le pensioni all’inflazione dell’8%, sarà necessario un esborso di ulteriori 18 miliardi di euro, portando così il totale delle pensioni a 236,16 miliardi.

 

Il calcolo contributivo. Sono tre le vie possibili e tutte nel sistema misto, formato dal metodo retributivo e da quello contributivo, che si applica a chi ha iniziato a lavorare prima del 1996.

Tridico propone la possibilità di varare un sistema basato sul calcolo contributivo applicabile ai lavoratori che hanno compiuto i 64 anni di età e hanno almeno 35 anni di contributi. A patto, però, che abbiano maturato il diritto a un trattamento almeno pari a 2,2 volte l’assegno sociale pari a 468,11 euro - cioè, in totale almeno 1.029 euro.

Per quanto riguarda i cosiddetti “contributivi puri”, chi è entrato nel mondo del lavoro a partire dal 1996, verrebbe corretto il requisito di maturazione da 2,8 a 2,2 volte l’assegno sociale, con lo scopo di soddisfare la più ampia platea di beneficiari. Tenendo conto, in particolare, delle donne e degli autonomi, cioè le categorie con i redditi più bassi.

L'opzione costerebbe allo stato 3,365 miliardi di euro fino al 2030.

 

Calcolo con penalizzazione. La seconda scelta prevede il pensionamento dei lavoratori assoggettati al sistema misto a 64 anni di età con almeno 35 di contribuzione. A condizione che abbiano maturato il diritto ad una pensione pari ad almeno 2,2 volte l’assegno sociale (1.029 euro al mese). Il ricalcolo prevede una penalizzazione del 3% della quota retributiva per ogni anno di anticipo rispetto all’età di vecchiaia (67 anni). Anche in questo caso per chi lavora dal 1996 la soglia del diritto maturato scende da 2,8 a 2,2 volte l’assegno sociale per permettere a un numero maggiore di persone di godere della pensione a partire dal sessantaquattresimo anno di età e con almeno 20 anni di contributi.

In questo caso il costo per lo stato sarebbe di 4,893 miliardi di euro fino al 2030.

 

Anticipo quota contributiva. La terza proposta parla di un anticipo della pensione, relativo soltanto alla quota contributiva per chi ha 63 anni di età e 20 di contribuzione, a patto che sia superiore a 1,2 volte l’assegno sociale (562 di un anticipo euro). Al compimento del sessantasettesimo anno di età, il lavoratore si vedrebbe riconosciuta anche la quota retributiva. Per i primi quattro anni il contribuente avrebbe accesso a un importo in alcuni casi sensibilmente al ribasso rispetto al totale dell’assegno pensionistico mensile.

Questa soluzione costerebbe allo stato 2,5 miliardi di euro entro il 2030.