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LA PENSIONE INTEGRATIVA STENTA A DECOLLARE

Anche nel 2020 il rendimento dei fondi pensione integrativi è stato superiore a quello del Tfr. Lo certifica la Covip nel suo rapporto annuale, presentato nei giorni scorsi. “Dopo una prima parte dell’anno molto perturbata, in concomitanza con lo scoppio della pandemia”, sottolinea la Commissione di vigilanza sui fondi pensione presieduta da Mario Padula, "i mercati finanziari hanno fatto segnare un progressivo recupero supportato dalle iniziative di sostegno e di rilancio messe in atto da governi e banche centrali in tutto il mondo”.

 

Rendimenti in salita. Del recupero hanno beneficiato anche i rendimenti dei fondi pensione. Al netto dei costi di gestione e della fiscalità, infatti, i fondi chiusi e i fondi aperti hanno guadagnato in media, rispettivamente, il 3,1 e il 2,9%.

Nello stesso periodo il Tfr si è rivalutato dell’1,2%  al netto delle tasse. Non è mancata comunque qualche nota negativa, come quella dei “nuovi” Pip di Ramo III (abbinati cioè a gestioni di tipo unit linked) che hanno presentato un -0,2%.

Oltre all’asset allocation adottata, alle differenze di rendimento tra le forme contribuiscono anche i divari nei livelli di costo. I Pip restano i prodotti più onerosi. Su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Isc (Indicatore sintetico di costo) è in media del 2,18% (1,87% per le gestioni separate di ramo I e 2,35% per i fondi di ramo III).

 

Lo scenario. Nel Rapporto annuale, la Covip ha precisato che a fine del 2020, i fondi pensione in Italia sono 372: 33 fondi negoziali, 42 fondi aperti, 71 piani individuali pensionistici (Pip) e 226 "vecchi" fondi, esistenti cioè prima del 1993.

Il numero delle forme pensionistiche complementari operanti è in costante riduzione. Oltre venti anni fa, nel 1999, erano 739, quasi il doppio. Gli iscritti alla previdenza integrativa sono 8,4 milioni, in aumento del 2,2%, ma più basso rispetto agli anni precedenti, per una copertura del 33% sul totale della forza lavoro operante nel nostro Paese. Con un’adesione ancora contenuta degli under 35 (coloro che ne avrebbero maggior bisogno), i quali rappresentano appena il 22,7% di tutto il bacino, e delle donne, ferme a quota 38,3%. In Italia lo sviluppo della previdenza complementare è decisamente inferiore a quello che caratterizzano altri Paesi europei, come Gran Bretagna  e Olanda.

 

Poche risorse. Alla fine del 2020, le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestavano a 198 miliardi di euro (+6,7% rispetto all’anno precedente), un ammontare pari al 12% del Pil e al 4,1% delle attività finanziarie delle famiglie italiane. I contributi incassati nell’anno sono pari a circa 16,5 miliardi di euro. I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.740 euro nell’arco dell’anno, ma il 27,4% del totale degli iscritti alla previdenza complementare (circa 2,3 milioni) non ha effettuato contribuzioni nel 2020 e circa un milione di individui non versa contributi da almeno cinque anni.

 

Un fisco più appetibile. Il presidente Padula, ricordando l’impegno della Covip a livello Ue e sul fronte nazionale per favorire l'introduzione dei Pepp (PanEuropean personal pension), ha sottolineato che “nella prospettiva di una migliore integrazione della previdenza del nostro Paese nel quadro europeo andrebbe valutato un intervento di riassetto della fiscalità dei fondi pensione».

La spinta propulsiva della previdenza integrativa si è un po’ persa, vuoi per le frequenti crisi economiche, finanziarie e ora anche sanitarie, vuoi per la minor efficacia degli incentivi:

1) i 5.164 euro di deducibilità fiscale (erano i 10 milioni di lire degli anni 2000) oggi, per recuperare il fiscal drag inflazionistico di questi ultimi 20 anni, dovrebbero essere circa 7 mila euro;

2) la tassazione nella fase di accumulo dei rendimenti era all’11%, aumentata poi al 20% (eccetto la quota proveniente dai titoli di Stato, tassata al 12.5%).

 

www.covip.it