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LA PENSIONE INTEGRATIVA NON DECOLLA

Sono passati ormai 13 anni dal fatidico semestre del silenzio assenso, che nel 2007 ha spinto 12 milioni di italiani a scegliere se e come destinare il proprio Tfr (Trattamento di fine rapporto) a una forma pensionistica complementare. Fino a quel momento solo un numero esiguo di lavoratori aveva scelto di costruirsi una pensione di scorta, che in Italia era possibile concretamente attivare fin dal 1995, con il lancio dei primi fondi pensione rivolti inizialmente a un pubblico di nicchia. Ma vediamo com’è la situazione che emerge dalle relazioni della Covip (Commissione di vigilanza sui fondi pensione), e Assofondipensione, associazione che rappresenta i fondi pensione negoziali.

I numeri del 2019. La relazione della Covip, presieduta da Mario Padula, fornisce un quadro di sintesi del sistema dopo un quarto di secolo dalla sua rifondazione. Alla fine dello scorso anno, la previdenza complementare contava 380 forme pensionistiche (18 in meno dell’anno precedente) per complessivi 8,263 milioni di iscritti, il 4% in più rispetto al 2018. In rapporto alle forze di lavoro, essi sono pari al 31,4%.

Le risorse complessivamente destinate alle prestazioni, pari a 185,1 miliardi di euro, sono in crescita del 10,7% rispetto al 2018; rappresentano il 10,4% del Pil (il Prodotto interno lordo) e il 4,2% delle attività finanziarie delle famiglie italiane..

La struttura si restringe. A fine 2019 operavano nel sistema 380 forme pensionistiche complementari (18 in meno dell’anno precedente) per complessivi 8,263 milioni d'iscritti (il 4% in più rispetto al 20189, il 31,4% della forza lavoro. Sono così ripartite: 33 fondi pensione negoziali, 41 fondi pensione aperti, 70 Piani individuali pensionistici di tipo assicurativo (Pip) cosiddetti “nuovi” e 235 fondi pensione preesistenti, quelli già istituiti e operanti prima della riforma del 1993. Nel totale complessivo è ancora incluso Fondinps, forma residuale, in via di soppressione, che accoglie i flussi di Tfr dei lavoratori silenti per i quali gli accordi collettivi non hanno individuato un fondo pensione di riferimento.

Posizioni sempre più vuote. Le posizioni contributive non alimentate hanno raggiunto quota 2,7 milioni pari al 29,6% del totale, 239mila in più rispetto al 2018. La maggior parte delle sospensioni contributive ha luogo nelle forme di mercato ad adesione individuale: 1.165.000 unità nei Pip “nuovi” (34,1% delle posizioni totali) e 599mila nei fondi aperti (38,6% del totale), in aumento, rispettivamente, di 83mila e di 37mila unità. Il fenomeno è, tuttavia, in significativo aumento anche nei fondi negoziali: negli ultimi quattro anni si è passati dal 13% delle posizioni totali registrato nel 2016 al 21,1 del 2019, per un totale di circa 667mila unità, di cui 105mila aggiuntesi nel corso dell’ultimo anno.

Contributi per categorie. Secondo la condizione occupazionale, sulle posizioni dei lavoratori dipendenti sono confluiti 13,2 miliardi di euro di contributi. Il contributo medio si è attestato a 2.800 euro, in rialzo rispetto ai 2.750 del 2018. Nel computo sono inclusi anche gli aderenti su base contrattuale, per i quali in massima parte risultano finora versati i soli contributi minimi previsti dalla contrattazione. I lavoratori autonomi hanno versato 1,4 miliardi di euro: il contributo medio per iscritto è di circa 2.540 euro, in aumento rispetto ai 2.480 del 2018.

Pochi iscritti tra i giovani. Un allarme sul mancato decollo della previdenza complementare è venuto anche dall’Assemblea annuale di Assofondipensione, l’Associazione dei fondi pensione negoziali, che conta oltre tre milioni d’iscritti e 56 miliardi di euro di patrimonio. “Il sistema della previdenza complementare dev’essere ulteriormente potenziato”, ha sottolineato Giovanni Maggi, riconfermato alla presidenza di Assofondipensione, “perché oggi copre soltanto un terzo della popolazione attiva, con una concentrazione maggiore di aderenti nelle classi di età centrali (34-54 anni) e scarsa diffusione nell’Italia settentrionale tra gli under 34 e in generale nel Sud Italia. Proprio in questo momento, in attesa della positiva evoluzione dell’emergenza sanitaria,  è importante sollecitare il regolatore politico verso una maggiore attenzione al secondo pilastro, anche in rapporto alle modifiche che in conseguenza della pandemia stanno coinvolgendo il mondo del lavoro, il sistema di welfare e i mercati finanziari. “I fondi hanno dimostrato che possono investire il risparmio previdenziale con strumenti a lungo termine in grado di generare, oltre al rendimento finanziario, anche ricadute dirette sul territorio”.

 

www.covip.it

www.assofondipensione.it