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LA CRISI ABBASSA LE PENSIONI

​La mancata crescita dell’economia taglia le pensioni. Chi lascerà il lavoro nel 2022 e nei prossimi anni, infatti, avrà diritto a una rivalutazione ridotta del montante contributivo relativo al 2021, per recuperare la mancata crescita del prodotto interno lordo nei cinque anni precedenti. Poiché il montante è la base di calcolo della pensione, quest'ultima sarà di importo ridotto. Introducendo una sorta di “tassa” che colpisce i futuri pensionandi, quando, appunto, l'economia gira male.

A dirlo, senza mezzi termini, è stato il messaggio 1165/2023 dell’Inps, che fissa i coefficienti di rivalutazione del montante contributivo per le pensioni con decorrenza dall'anno 2023. E' andata bene, invece, ai pensionati dell'anno scorso, perché non hanno subìto la rivalutazione ridotta, né lo faranno più.

 

Il calcolo della pensione. In base alla regola contributiva, l'importo della rendita è pari a una percentuale di tutti i contributi versati nella vita lavorativa e che costituiscono il montante. La percentuale (“coefficiente di trasformazione”), è prefissata dalla legge in corrispondenza di diverse età di pensionamento, da 57 a 71 anni. Il montante contributivo viene rivalutato ogni anno per preservare il potere d'acquisto. Al momento della pensione, infatti, i contributi possono risalire pure a 30-40 anni prima. La rivalutazione avviene considerando un tasso pari alla variazione del Pil dei cinque anni precedenti, calcolato dall'Istat. L'Inps spiega che il tasso di rivalutazione del 2022, che si applica al montante contributivo al 31 dicembre 2021, è pari a 1,009973.

 

L'economia gira male. Il criterio di rivalutazione del montante presuppone una costante crescita del prodotto interno lordo. Solo se il Pil sale, infatti, anche il tasso di rivalutazione è positivo.

Ma cosa succede quando c'è crisi e il prodotto interno lordo, anziché crescere, diminuisce? La norma (riforma Dini, legge 335/1995) fino all'anno 2014 non contemplava questa ipotesi. Il 27 ottobre di quell'anno, infatti, nel fornire il tasso di rivalutazione per i pensionati del 2015, l'Istat fece presente che, per la prima volta, il tasso era negativo per scarsa crescita del Pil: -0,001927. Ciò avrebbe comportato non la rivalutazione, bensì la “svalutazione” del montante: 250.000 euro di contributi sarebbero scesi a 249.518. L'Inps congelò la svalutazione sostenendo che la legge non prevedeva l'applicazione di tassi negativi.

La tesi è poi divenuta norma con la legge 109/2015, che effettuato un inserimento nella legge 335/1995: “in ogni caso il coefficiente di rivalutazione”, si legge, “non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive”.

 

La rivalutazione del 2022. Nel 2021 la svalutazione si è ripresentata, a -0,000215, cioè di nuovo negativa (al 31 dicembre 2020 per i pensionati del 2022). Come sette anni prima, spiega l'Inps, quel tasso non è stato applicato, ma ora, a differenza del 2014, sarà recuperato sulla rivalutazione dei montanti dei pensionati del 2023. Nel 2014, invece, tutti i percettori di assegno furono graziati, perché la norma stabiliva: “in sede di prima applicazione non si fa luogo al recupero sulle rivalutazioni successive”.

L'Inps dice che, ai pensionati del 2023, non si applicherà il tasso pieno di rivalutazione (1,009973, come detto), ma ridotto e pari a 1,009756 per recuperare, appunto, lo 0,000215 negativo del 2022. E' andata bene, invece, a chi si è ritirato dal lavoro l'anno scorso. Infatti, come ha fatto notare ItaliaOggi, ha fruito dello stesso azzeramento della svalutazione (cioè rivalutazione negativa), ma non dovrà restituire il beneficio.

 

I tassi dell’ultimo triennio

Anno pensionamento

Montante contributivo

Tasso capitalizzazione

Coefficiente applicato

2021

31 dicembre 2019

+0,019199

1,019199

2022

31 dicembre 2020

0

1

2023

31 dicembre 2021

+0,009973

1,009756