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INPS, COSÌ LA PENSIONE MINIMA NEL 2020

Anche quest’anno (non succeda da tempo) occorre fare i conti con due diversi dati del Trattamento minimo (o pensione minima) Inps. Il primo, 515,07 euro mensili, è quello provvisoriamente in pagamento, incrementato dello 0,4% rispetto al 2019. E l’importo esatto, 515,58 euro, che scaturisce in seguito alla comunicazione dell’Istat sul dato definitivo dell’inflazione 2019.

Il conguaglio, che quindi sarà leggermente positivo (circa 7 euro per l’intero anno), verrà corrisposto con la prima rata del 2021. Da tempo ormai l’importo del minimo Inps costituisce un riferimento per molti parametri previdenziali, come i limiti di reddito per il diritto all’integrazione, il minimale di retribuzione che consente la copertura del contributo settimanale, e altri. A parte i tetti di reddito per l’integrazione, che guardano al valore del minimo provvisorio (quello in pagamento), gli altri fanno riferimento al suo valore effettivo. Inoltre, l'adozione dell'indice effettivo in luogo di quello provvisorio, incide anche sui parametri del "tetto" pensionabile indicato dall'Inps nella circolare di fine anno (n. 147/2019).  Vediamo dunque questi numeri.

Tetto pensionabile. Il “plafond” da considerare ai fini del calcolo delle pensioni definisce la soglia oltre la quale si applicano aliquote di rendimento ridotte rispetto al 2%. A questo proposito è stato introdotto il principio secondo cui il limite della base pensionabile debba essere adeguato seguendo la disciplina della perequazione automatica. Maggiorando dello 0,5% il valore utile del 2019, il “tetto” 2020 è salito quindi a 47.379 euro. Pertanto, le fasce di retribuzione annua da considerare per il calcolo delle rendite di quest’anno, riferite alle anzianità maturate a tutto il 31 dicembre 1992 (c.d. quota A) vanno agganciate alle seguenti aliquote di rendimento:

1) al 2% della retribuzione annua pensionabile sino a 47.379 euro (tetto di base per il 2020);

2) all’1,5% per la fascia eccedente il 33%, ossia per la quota di retribuzione compresa tra 47.379 e 63.015 euro;

3) all’1,25% per la fascia compresa tra il 33% e il 66%, ossia per la quota compresa tra 63.015 e 78.649,14 euro;

4) all’1%, infine, per l’ulteriore fascia di retribuzione annua pensionabile eccedente il 66%, ossia per l’eventuale quota eccedente 78.649,14 euro.

Se invece si tratta di retribuzioni riferite a contributi versati dal primo gennaio 1993 al 31 dicembre 2011 (quota B) si avrà:

1) 1,6%, per ogni anno di contribuzione, della fascia eccedente il 33% del “tetto”, ossia per la quota di retribuzione compresa tra 47.379 e 63.015 euro;

2) 1,35%, per ogni anno di contribuzione, della fascia compresa tra il 33% e il 66% eccedente il “tetto”, ossia per la quota compresa tra 63.015 e 78.649 euro;

3) 1,10%, per ogni anno di contribuzione, della fascia compresa tra il 66% e il 90% eccedente il “tetto”, ossia per la quota compresa tra 78.649 e 90.020 euro;

4)  0,90%, per ogni anno di contribuzione, della fascia eccedente il 90% del “tetto” (eccedente 90.020 euro).

La quota C. Dopo la riforma Fornero, per le pensioni con decorrenza dal primo gennaio 2012 in poi, il calcolo della rendita deve tener conto anche di un’ulteriore quota (C), riferita all’anzianità acquisita successivamente al 31 dicembre 2011. La precedente normativa ha infatti introdotto il metodo contributivo per tutti, compresi coloro che potevano contare su 18 anni di versamenti al 31 dicembre 1995, i quali beneficiavano del solo (e più favorevole) criterio retributivo.

 

www.inps.it