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IL CALO DEL PIL BLOCCA LA RIVALUTAZIONE DELLE PENSIONI

Un crollo del Pil (Prodotto interno lordo) a causa del lockdown e dell'espandersi della pandemia del Covid-19, avrà effetti diretti e indiretti sulle pensioni, già duramente colpite da anni di tagli. In base alla riforma Dini del 1995, il montante contributivo viene rivalutato anno per anno in base all'andamento della crescita nominale del Pil degli ultimi cinque anni (il cosiddetto tasso di capitalizzazione). Ma cosa accadrebbe se nel 2020 il Pil subisse una contrazione dell'8-10%? Vediamone meglio le ricadute.

Gli interessati. Va subito chiarito che l'effetto della contrazione del Pil non interessa i lavoratori che andranno in pensione nel 2020, nel 2021 o nel 2022.  L'ultimo tasso di capitalizzazione pubblicato, quello nel 2019 che riguarda i pensionamenti tra il primo gennaio 2020 e il 31 dicembre 2020, è stato infatti calcolato in base alla media della crescita nominale del Prodotto interno lordo del quinquennio 2013-2017. 

Questo significa che la riduzione del Pil registrata nel 2020 avrà effetti sul tasso di capitalizzazione del 2022 e coinvolgerà, quindi, i pensionamenti dal primo gennaio 2023 al 31 dicembre 2023. Non occorre quindi affrettarsi ad andare in pensione entro il 31 dicembre 2020 per evitare l'applicazione di un tasso di rivalutazione più sfavorevole.

Niente svalutazione. È lecito aspettarsi che il tasso di capitalizzazione del 2022 risulterà negativo, perché la perdita registrata nel 2020 non sarà compensabile dalle precedenti annualità che concorrono a formare il tasso stesso. Da qui la domanda: quel tesoretto dei contributi accumulati verrà svalutato? No!

Ci siamo già trovati in questa situazione nel 2015, quando per la prima volta la variazione media quinquennale del Pil è risultata negativa a causa della depressione degli anni precedenti (2008-2011). In quell'occasione l’allora Ministro del lavoro Giuliano Poletti ha avuto l'accortezza di stabilire un principio (art. 5, comma 1, decreto-legge 65/2015), secondo cui il coefficiente di rivalutazione del montante contributivo come determinato adottando il tasso annuo di capitalizzazione non può essere inferiore a uno, salvo recupero da effettuare sulle rivalutazioni successive.

Tranquilli sino al 2023. Anche i lavoratori che andranno in pensione nel 2023, quindi, non subiranno alcuna contrazione del montante accumulato, neppure se il tasso di capitalizzazione risultasse negativo.

In sostanza, la caduta del Pil non comporterà la perdita dei contributi versati, ma solo l'ulteriore stagnazione di un meccanismo di rivalutazione già in crisi da oltre un decennio. Versare i contributi all'Inps oggi rende poco (in media l'1%), con questa crisi renderà praticamente zero. Non c’è che sperare di aiutare, magari attraverso una accorta politica fiscale, soprattutto le giovani generazioni, a prendere in considerazione la “pensione di scorta”, la previdenza complementare, sinora mai decollata.

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