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COSA FARE QUANDO L’INPS RICHIEDE I SOLDI INDIETRO

La pandemia ha letteralmente svuotato le tasche dei pensionati. Ma a minare ulteriormente le loro tasche è arrivata anche l'Inps, che in questi giorni chiede indietro cifre (anche di grande entità) erogate per sbaglio negli ultimi anni. E così la domanda nasce spontanea: è lecito che l’Inps richieda soldi indietro, dopo averli erogati a seguito di prestazioni a vario titolo? E ancora, come deve comportarsi il contribuente in questi casi e cosa può fare per difendersi?

Quando non si deve restituire. Se la somma ricevuta in più è ascrivibile a un errore imputabile all’Inps,  non dev’essere restituita. Questo è quanto stabilisce l’articolo 13 della legge 412/191; la norma è  applicabile a tutti i casi in cui:

1) vi sia un errore imputabile all’Istituto;

2) i provvedimenti dell’ente siano stati comunicati al pensionato;

3) le misure siano il risultato di provvedimenti formali e definitivi.

Quando si deve restituire. Il pensionato è chiamato a restituire le quote dovute, invece, nei seguenti casi:

1) quando, a conoscenza di fatti che hanno conseguenze sul diritto alla prestazione percepita, non abbia segnalato l’incongruenza. Pensiamo, per esempio, ai casi in cui si continui a ricevere l’indennità di disoccupazione (Naspi) dopo aver firmato un contratto di lavoro;

2) quando sussiste un’indebita percezione a danno dell’ente, per esempio, nei casi di falsa invalidità (i cosiddetti falsi invalidi). Quando, in altre parole, c’è “dolo”.

Come avviene il recupero. L’Inps può recuperare le somme dovute con queste modalità:

1) trattenute sull’assegno mensile di pensione;

2) compensazione con i crediti;

3) pagamento con rimessa in denaro.

Le procedure di accertamento e recupero crediti sono vincolate da una prescrizione decennale. Questo significa che, allo scadere di dieci anni dal pagamento, l’Inps non può più avanzare alcun diritto sulla somma versata in più.

 

www.inps.it