CLOSE

This website uses cookies. By closing this banner or browsing the website, you agree to our use of cookies. CLOSE

PENSIONI, QUOTA 100 SENZA PENALIZZAZIONI

Alla fine, la famosa “quota 100” (62 anni di età e almeno 38 di contributi) ci sarà, e senza le penalizzazioni, e cioè riduzione dell’assegno di 1,5% per ogni anno di anticipo, ovvero calcolo con il metodo contributivo per i periodi dopo il 1995. Non solo, ma potrebbe anche essere bloccato l’innalzamento a 67 anni nel 2019 dell’età per la pensione di vecchiaia .

Il cambiamento del sistema previdenziale è certamente uno dei punti più discussi nella Nota di aggiornamento (il cosiddetto Def, documento di economia e finanza, una nota programmatica della manovra economica del prossimo triennio) varata nei giorni scorsi dal Consiglio dei Ministri. I ritocchi alla riforma Fornero rappresentano una voce di spesa importante nella manovra economica che toccherà quota 2,4% nel rapporto deficit/Pil. Prima del varo della Legge di bilancio 2019, il governo dovrà definire i paletti per individuare il costo effettivo della riforma. Il provvedimento potrebbe interessare tra i 220mila e i 400mila lavoratori.

L’attuale situazione. Dal primo gennaio 2019 per intascare la pensione di vecchiaia servono 67 anni d’età e 20 anni di contributi. È pure possibile anticipare l’addio al lavoro, ma per poterlo fare, sempre dal prossimo gennaio indipendentemente dall’età occorre un minimo di 43 anni e 3 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).

La costosa quota 100. Prima della nota di aggiornamento al Def, circolava l’ipotesi di una “quota 100” articolata su diverse combinazioni d’età e di contributi, fino a quella più generosa che avrebbe consentito l’uscita dal lavoro anche con 36 anni di servizio (e 64 d’età). Ma ora si studia solo la combinazione 62 anni d’età più 38 di contributi. Questo significa che chi volesse uscire avendo più di 62 anni dovrebbe comunque avere almeno 38 anni di versamenti, quindi: 63 più 38, quota 101; 64 più 38, quota 102; 65 più 38, quota 103; 66 più 38, quota 104.

Questo sistema permetterebbe a circa 400 mila lavoratori in più all’anno di andare in pensione dal 2019 in poi, e costerebbe tra 8 e 8,5 miliardi il primo anno e circa un miliardo in più negli anni successivi. Le altre combinazioni possibili (63 più 37; 64 più 36) sono state eliminate perché i costi sarebbero aumentati troppo. Insomma, sono state scartate le ipotesi di un calcolo contributivo a partire dai versamenti successivi al 1995, così come l’idea di un taglio dell’assegno di 1-1,5% per ogni anno di anticipo rispetto a 67 anni.

I 67 anni. Il ministro del Tesoro avrebbe preferito lasciare intatta la soglia dei 67 anni e articolare un sistema di deroghe che consentisse di anticipare il pensionamento ai lavoratori più in difficoltà. Praticamente, la schiera dei soggetti già coperta dall’Ape sociale, più gli esuberi nelle aziende in crisi. Ma non è stato così. Non solo “quota 100”, ma circola anche l’ipotesi di bloccare il prossimo adeguamento dei requisiti vigenti alla speranza di vita. L’età di vecchiaia rimarrebbe dunque a 66 anni e 7 mesi.

La Legge di Bilancio. Le risposte arriveranno con la nuova Legge di Bilancio. Se queste ipotesi dovessero passare, significa che dal primo gennaio 2019 per la vecchiaia non scatterebbero più i 5 mesi di aumento già decisi, e 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne) per la pensione anticipata, quella che si riscuote indipendentemente dall’età.

www.inps.it

Leonardo Comegna