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  • Il Tfr senza segreti

SPECIALE TFR

Il Tfr (Trattamento di fine rapporto), è un compenso con corresponsione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro; per qualsiasi motivo, sia esso licenziamento, dimissioni, o raggiungimento dell’età della pensione. Si tratta, in altre parole, di quella somma che un tempo veniva definita liquidazione o buonuscita.

 

Come si calcola

Il conteggio è abbastanza semplice. Il Tfr matura progressivamente durante il rapporto di lavoro: la quota annua che il datore di lavoro deve accantonare ogni anno (detto montante), si ottiene dividendo la retribuzione lorda per 13,5, e sottraendo la contribuzione dovuta all'Inps (per finanziare le pensioni) nella misura dello 0,5%.

Il montante va poi aggiornato annualmente con un indice di rivalutazione stabilito dalla legge: in misura pari al 75% dell’inflazione, più 1,5% fisso. In sostanza, la quota di Tfr accantonato dall’azienda per la futura erogazione all’atto della cessazione del rapporto, viene formato dalle le voci retributive presenti in busta paga. L’accantonamento, da effettuarsi il 31 dicembre di ogni anno, è, come accennato,  pari all’importo della retribuzione annualmente dovuta (detto imponibile Tfr), divisa per 13,5 (divisore fisso, sarebbe il 7,41%). Quest’operazione viene ripetuta per tutti gli anni del rapporto di lavoro. La quota è proporzionalmente ridotta per le frazioni di anno, computandosi come mese intero le frazioni di mese uguali o superiori a 15 giorni. Il Tfr maturato negli anni precedenti viene rivalutato secondo i coefficienti di rivalutazione Istat.

Retribuzione utile. Non tutto ciò che percepisce il lavoratore risulta imponibile ai fini del Tfr.  Vediamo cosa dice la legge (comma 2 dell’art. 2120 del Codice civile): “Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, la retribuzione annua, ai fini del comma precedente (ossia il computo del Tfr dividendo la retribuzione annua per 13,5), comprende tutte le somme, compreso l'equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Dalla lettura della norma si riscontrano due requisiti:

1) “dipendenza”;

 2) “non occasionalità”.

Il primo implica la necessità di un collegamento tra prestazione lavorativa e somma erogata, nel senso che quest’ultima dev’essere stata corrisposta a titolo di compenso per una prestazione resa da parte del lavoratore. Quindi sono da escludere, per mancanza di questo requisito, le liberalità ricevute dal lavoratore, che sono indipendenti dalla prestazione lavorativa, come utte quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro si pone come una mera occasione contingente. Il requisito della non occasionalità comporta che sono computabili per il Tfr gli emolumenti che dal punto di vista temporale vengono erogati abitualmente o almeno in modo ricorrente, e non necessariamente di carattere definitivo.

La retribuzione di riferimento per il calcolo del Tfr, salvo diversa (e migliore) previsione del contratto collettivo cui appartiene il lavoratore, è costituita da tutti gli elementi retributivi aventi natura tipica, normale e ripetitiva nel rapporto:

1) paga base, contingenza, terzo elemento contrattuale, scatti di anzianità, superminimo individuale;

2) tredicesima e quattordicesima mensilità;

3) lavoro straordinario non occasionale;

4) maggiorazione per lavoro notturno (in caso lavoro su turni);

5) indennità di mensa, funzione, mansione, alloggio, cassa o maneggio denaro, trasporto, servizio estero, per lavori disagiati; premi di fedeltà, premio annuo, premio di anzianità, premio finale, l’una tantum;

6) festività infrasettimanali retribuite, festività che cadono di domenica, ex festività 4 novembre spostata alla domenica; l’indennità sostitutiva delle ferie non godute (quando la mancata fruizione non dipende da cause imputabili al datore di lavoro) e l’indennità sostitutiva del preavviso.

Quando il lavoratore è assente. La legge stabilisce che in caso di sospensione della prestazione di lavoro nel corso dell'anno per infortunio, malattia, gravidanza, puerperio, nonché in caso di sospensione totale o parziale per la quale sia prevista l'integrazione salariale, nella retribuzione imponibile ai fini Tfr dev’essere computato l'equivalente della retribuzione a cui il lavoratore avrebbe avuto diritto in caso di normale svolgimento del rapporto di lavoro. Pertanto, i lavoratori in cassa integrazione guadagni (sia ordinaria che straordinaria), che quindi ricevono l’integrazione salariale, hanno diritto al Tfr secondo la retribuzione normalmente percepita.

 

Anticipo del Tfr

In caso di necessità è possibile ottenere un anticipo sul Tfr maturato. La legge stabilisce che le somme percepite a titolo di anticipazione, non possono mai eccedere, complessivamente, il 70% del totale dei versamenti. Questi sono in generale i requisiti per ottenerlo:

1) rapporto di lavoro subordinato continuativo da almeno 8 anni  presso lo stesso datore di lavoro;

2) misura massima del 70% dell'importo del Tfr maturato in azienda;

3) una sola possibilità di richiesta.

Le richieste sono soddisfatte annualmente entro i limiti del 10% degli aventi titolo e comunque del 4% del numero totale dei dipendenti.

 

Anticipo, occhio al contratto collettivo

Occhio al contratto collettivo. I contratti collettivi possono stabilire criteri di priorità per l'accoglimento delle richieste di anticipazione. Inoltre, un patto individuale tra azienda e dipendente consente di anticipare il Tfr al lavoratore anche in mancanza dei requisiti. Se vuole, inoltre, il  datore di lavoro può erogare l'anticipo del Tfr anche per più di una volta nel corso del rapporto di lavoro.  Insomma, in presenza di patti individuali è possibile derogare alla disciplina generale, con un’ampia libertà per le parti.

 

Anticipo del Tfr, i motivi

La richiesta di anticipo del Tfr, da formulare per iscritto, dev’essere giustificata dalla necessità di:

1) eventuali spese sanitarie per terapie e interventi straordinari riconosciuti dalle competenti strutture pubbliche;

2) acquisto della prima casa di abitazione per sé o per i figli, o ristrutturazione straordinaria della casa di proprietà;

3) congedi per astensione facoltativa di maternità, formazione e formazione continua, anche aziendale.

 

Decesso del lavoratore

Il trattamento di fine rapporto segue solo in parte le regole sui diritti ereditari, anche se nel caso più frequente la qualità di erede viene a coincidere con quella di beneficiario. Il Codice civile dispone infatti che:

1) il Tfr va corrisposto al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del lavoratore, ai suoi parenti entro il terzo grado e ai suoi affini entro il secondo grado;

2) in mancanza dei predetti soggetti, l'indennità viene attribuita secondo le norme della successione legittima.

In proposito va precisato che il coniuge divorziato, se non passato a nuove nozze e titolare di un assegno divorzile, ha diritto a una percentuale dell'indennità, anche se questa viene a maturare dopo la sentenza di divorzio. Tale percentuale è pari al 40% dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio.

 

Esempio pratico del calcolo del Tfr

Come detto, l’accantonamento della quota di Tfr avviene su base annua. Per determinarne il montante occorre dividere la retribuzione annua per 13,5; il montante dev’essere aggiornato annualmente con un indice di rivalutazione stabilito dalla legge: in misura pari al 75% dell’inflazione (indicata dall’Istat), più 1,5% fisso.

Il signor Rossi viene assunto il primo gennaio con uno stipendio annuo lordo di 24.000 euro. Al 31 dicembre il calcolo per l’accantonamento del suo Tfr sarà:

24.000 euro: 13,5 = 1.778 euro (Tfr al termine del primo anno di lavoro).

Al 31 dicembre dell’anno successivo, si procederà nuovamente al calcolo.

Ipotizziamo che il Rossi abbia percepito lo stesso stipendio e che l’aumento dell’indice Istat dei prezzi al consumo, rispetto all’anno precedente, sia stato dell’1,8%:

Quota annua = 24.000 euro : 13,5 = 1.778 euro

Rivalutazione = 1.778 x [1,5% + (1,8% x 75%)] = 51 euro

Totale accantonamento Tfr  alla fine del secondo anno = 1.778 +1.778 + 51 = 3.607 euro.

 

Dal lordo al netto

Il Tfr è soggetto a una tassazione separata (più favorevole di quella ordinaria), per cui la somma totale è assoggettata a un particolare trattamento fiscale. Dopo aver determinato la base imponibile totale del Tfr occorre ricercare l’aliquota media che sarà applicabile alla stessa. Questa tiene conto dell’aliquota media che il lavoratore ha subito negli ultimi cinque anni ai fini della tassazione Irpef. Per i rapporti di lavoro con durata inferiore ai due anni e per i Tfr che hanno un reddito di riferimento non superiore ai 30 mila euro, con diritto che sorge a partire dal 1° aprile 2008 sono previste detrazioni particolari.

Inoltre, viene applicata una particolare riduzione sull’importo totale da versare all’erario. Queste riduzioni sono pari a:

1) 70 euro se il reddito di riferimento non supera i 7.500 euro;

2) 50 euro più 20 euro x (28 mila euro – reddito di riferimento)/20.400 euro se l’ammontare del reddito di riferimento è fra 7.500 e 28 mila euro;

3) 50 euro x (30 mila euro – reddito di riferimento)/20.500 euro, se il reddito di riferimento è compreso fra 28 mila euro e 30 mila euro.

Successivamente a queste operazioni, gli uffici dell’Agenzia delle entrate riliquidano l’imposta dovuta in base all’aliquota media di tassazione dei cinque anni anteriori alla cessazione del rapporto di lavoro, e se la differenza di imposta non pagata supera i 100 euro emettono un avviso di pagamento al diretto interessato. E’ possibile anche che il datore di lavoro abbia effettuato una trattenuta maggiore del dovuto, e in questo caso gli uffici finanziari rimborsano il maggiore credito.

Anche le somme rogate a titolo di anticipo sono soggette alle stesse regole relative alla tassazione del Tfr.

Un esempio pratico. Immaginiamo un Tfr lordo pari a 40.000 euro accumulati in 30 anni di lavoro. Senza prendere in considerazione eventuali detrazioni fiscali, il Tfr netto sarà uguale a:
40.000 x 12/30 = 16.000 euro.
Su questa cifra è necessario calcolare l’aliquota Irpef, indicando lo scaglione di reddito stabilito dalla legge, (in questo caso pari al 27%).
16.000 x 27/100 = 4.320 euro.
Una volta calcolata l’Irpef, basterà sottrarre questa dal Tfr lordo:
Tfr netto: 40.000 – 4.320 = 35.680 euro.

L’ultima parola spetta sempre all’Agenzia delle entrate che ricalcolerà l’imposta riferendosi alle aliquote medie e ai redditi dichiarati negli ultimi 5 anni.
Se l’imposta dovesse essere superiore, sarà direttamente l’Agenzia a richiedere il saldo.

 

Tfr in busta paga

I dipendenti del settore privato, in via sperimentale (a partire dal primo marzo 2015 e sino al 30 giugno 2018) hanno la possibilità di chiedere l'anticipazione del Tfr in busta paga. In questo modo il pagamento mensile dell'importo maturando di Tfr diventa, come previsto dalla stessa Legge finanziaria del 2015, un’integrazione della retribuzione mensile non imponibile a fini previdenziali. Lo scopo è quello di integrare lo stipendio in modo da favorire i consumi

Chi può farlo. La scelta può essere effettuata da tutti i dipendenti del settore privato, aesclusione dei lavoratori domestici e del settore agricolo, che abbiano una anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro di almeno 6 mesi. Una volta effettuata la scelta il vincolo è irrevocabile sino al 30 Giugno 2018. 

Operazione flop. L'opzione ha avuto scarso successo (meno del 5% dei potenziali aventi diritto) a causa soprattutto del fattore fiscale, che riduce decisamente il beneficio, ossia   ottenere un incremento del netto in busta paga.  L'integrazione della retribuzione viene, infatti, soggetta a tassazione ordinaria con applicazione dell'aliquota marginale Irpef e delle addizionali, mentre l'importo erogato a fine rapporto di lavoro a titolo di Tfr subirebbe  la tassazione separata che è una imposizione Irpef (escluse addizionali) agevolata perché  tiene conto del fatto che la somma viene maturata nel corso del rapporto a fronte di un'erogazione differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

A guadagnare dall'operazione, quindi, è soprattutto lo Stato dato che il lavoratore paga subito (mese per mese) una tassazione più elevata di quanto avrebbe pagato a fine servizio. Dato che le elargizioni vengono cumulate con il reddito del periodo d'imposta, l'integrazione della retribuzione incide sulla determinazione delle detrazioni d'imposta e sulla misura degli assegni familiari. La somma è invece esclusa dal reddito complessivo valutabile ai fini della percezione del bonus di 80 euro.

 

Il Tfr dei dipendenti pubblici

Cosa spetta al dipendente pubblico quando cessa il rapporto di lavoro? La risposta è alquanto complessa, perché a differenza dei lavoratori del settore privato (che possono contare sul Tfr), per il cosiddetto trattamento di fine servizio (Tfs), comunque denominato, spettante al termine del rapporto di lavoro, occorre distinguere le diverse prestazioni in base all’amministrazione presso la quale si presta servizio. Questo il quadro:

1) l’indennità premio di servizio (Pfs) per i dipendenti degli Enti locali e del Servizio sanitario nazionale assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000, che hanno risolto, per qualsiasi causa, il loro rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno d’iscrizione;

2) l’indennità di buonuscita per i lavoratori iscritti al Fondo di previdenza per i dipendenti  dello Stato, assunti con contratto a tempo indeterminato prima del 31 dicembre 2000, che hanno risolto, per qualunque causa, il rapporto di lavoro e quello previdenziale con almeno un anno di iscrizione;

3) il Tfr per il personale di entrambe le precedenti categorie assunto con contratto a tempo indeterminato dopo il 31 dicembre 2000.

Tutte le indennità di fine servizio sono corrisposte d’ufficio. Il lavoratore non deve quindi presentare alcuna istanza per ottenere la prestazione.

Misura. L’indennità premio di servizio (Ips) si ottiene moltiplicando un quindicesimo dell’80% della retribuzione contributiva degli ultimi dodici mesi di servizio, comprensiva della tredicesima mensilità, per il numero degli anni utili (si considera come anno intero la frazione di anno superiore a 6 mesi, mentre quella pari o inferiore a 6 mesi viene trascurata).

L’indennità di buonuscita spettante agli statali viene determinata moltiplicando un dodicesimo dell’80% della retribuzione annua lorda (comprensiva della tredicesima) percepita alla cessazione dal servizio.

 In entrambi i casi tale retribuzione non può eccedere la soglia dei 240mila euro lordi.

Trattamento fiscale.  Sia l'indennità di buonuscita che l'indennità di premio servizio beneficiano di un trattamento fiscale agevolato. Per la determinazione sia dell'aliquota di tassazione che della base imponibile, l'importo lordo viene abbattuto di una percentuale pari al 26,04% per l'indennità di buonuscita e del 40,98% per l'indennità premio servizio.

Modalità di pagamento. Le indennità di fine servizio vengono corrisposte come segue:

1) in unica soluzione, se l’ammontare complessivo lordo è pari o inferiore a 50mila euro;

2) in due rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 50mila e inferiore a 100mila euro (in questo caso la prima rata è pari a 50mila euro e la seconda  alla parte rimanente);

3) in tre rate annuali, se l’ammontare complessivo lordo è superiore a 100mila euro. In tal caso la prima e la seconda rata sono pari a 50.000 euro e la terza è pari alla parte rimanente. La seconda e la terza somma saranno pagate rispettivamente dopo 12 e 24 mesi dalla decorrenza del diritto al pagamento della prima.

Termini di pagamento. I termini di pagamento sono differenti a seconda delle cause di cessazione del rapporto di lavoro:

1) entro 105 giorni in caso di cessazione dal servizio per inabilità o per decesso (termine breve);

2) non prima di 12 mesi per cessazioni del rapporto di lavoro avvenute per  raggiungimento dei limiti di età o di servizio, ovvero del termine del contratto a tempo determinato;

3) non prima di 24 mesi dalla cessazione per tutti gli altri casi (dimissioni volontarie con o senza diritto a pensione, licenziamento, destituzione dall’impiego ecc.).

I termini di pagamento dei TFS/TFR

Motivo della cessazione

Termine

Pensione di vecchiaia e/o limiti di età ordinamentali

12 mesi

Limiti di servizio / Risoluzione unilaterale

12 mesi

Pensione anticipata

24 mesi

Dimissioni volontarie senza diritto a pensione

24 mesi

Destituzione / Licenziamento senza diritto a pensione

24 mesi

Decesso e inabilità

105 giorni

 

La liquidazione della colf

Anche colf, badante e baby-sitter hanno diritto al Tfr, alla stregua della generalità dei dipendenti. L’indennizzo di fine rapporto  è stabilito in misura pari a una quota risultante dalla retribuzione globale annua (compresa la tredicesima, l’indennità sostitutiva di vitto e alloggio ed eventuali quote retributive in natura) divisa per il coefficiente 13,5. Molto più semplicemente, si sommano le retribuzioni corrisposte mese per mese, compresa la tredicesima, e si divide il risultato per 13,5, ottenendo così la quota annua di liquidazione.

Gli accantonamenti vengono rivalutati annualmente in misura pari al 75% degli indici Istat di variazione del costo della vita. A richiesta della colf, il datore di lavoro è tenuto ad anticipare, e per non più di una volta all'anno, il Tfr  nella misura massima del 70% di quanto maturato. 

I calcoli da fare per il Tfr non sono complicatissimi, ma richiedono pazienza e attenzione. Per incontrare meno difficoltà il consiglio che si può dare è di calcolare annualmente la quota di Tfr prevista, sommarla alle precedenti, e rivalutare il tutto in base al coefficiente Istat. Al momento dell’interruzione del rapporto basterà così sommare la quota spettante per l’ultimo periodo di lavoro – che, ricordiamo,  non va rivalutata - per avere la liquidazione.

Per evitare i conteggi necessari alla rivalutazione annuale il datore di lavoro può corrispondere alla collaboratrice domestica, se questa è d’accordo, la quota di Tfr maturata nell’anno. Ovviamente bisogna farsi rilasciare una ricevuta. Un’alternativa può essere quella di accordarsi, con atto scritto, per corrispondere una retribuzione mensile comprensiva dei ratei di Tfr.

Tassazione.  Il datore di lavoro domestico non è sostituto d’imposta: non opera, quindi, alcuna ritenuta sulla paga, né sul Tfr. Ha solo l’obbligo contrattuale di fornire alla lavoratrice una dichiarazione in cui indica le somme lorde corrisposte e l'entità della contribuzione eventualmente trattenuta allo stesso nel corso dei vari periodi di paga. Le collaboratrici domestiche sono tenute quindi a presentare la dichiarazione dei redditi (se di ammontare superiore a 8.000 euro) tramite modello unico e a pagare l'Irpef e le addizionali comunali e regionali su quanto dichiarato. La denuncia dei redditi è dovuta invece sempre, indipendentemente dall'imponibile, nel caso di liquidazione del Tfr compilando il quadro M del modello unico.

I coefficienti Istat degli ultimi anni

Anno

Rivalutazione

Anno

Rivalutazione

2000

3,53%

2009

2,22%

2001

3,22%

2010

2,93%

2002

3.50%

2011

3,88%

2003

3,20%

2012

3,30%

2004

2,79%

2013

1,92%

2005

2,95%

2014

1,50%

2006

2,74%

2015

1,50%

2007

3,48%

2016

1,79%

2008

3,03%

2017

0,22%

 

Il Tfr destinato ai Fondi pensione diventa flessibile

Sarà la contrattazione collettiva a determinare la quota minima di Tfr da destinare alla previdenza complementare. E’ la novità più importante in materia contenuta nella nuova Legge sulla “concorrenza” (n.124/2017), in vigore dal 29 agosto scorso. Le modifiche all’impianto della previdenza integrativa (decreto legislativo n. 252/2007), vanno incontro alle sollecitazioni della Covip (l’Autorità di vigilanza del settore) con l'obiettivo di agevolare le ade­sioni anche nelle aziende con meno di 50 dipendenti, per le quali si riscontra ancora oggi un tasso di penetrazione decisamente basso. Inoltre, per i lavoratori disoccupati sarà più facile riscuotere sotto forma di rendita anticipata il capitale accumulato nel proprio fondo pensione.

Tutto o niente. La destinazione del Tfr (la vecchia indennità di liquidazione) a un fondo pensione è una scelta libera del lavoratore, che può decidere se lasciare la liquidità nell'impresa e riscuoterla alla fine della carriera lavorativa, oppure se metterla (per intero) in un Fondo complementare, per avere una rendita integrativa della pensione pubblica obbligatoria. Praticamente, il lavoratore ha davanti a sé solo due possibilità: trasferire l'intera quota del Tfr maturando, oppure lasciarla all'azienda e riscuoterla una volta cessato il rapporto.

Se non viene fatta alcuna scelta, il Tfr comunque finisce nella previdenza integrativa: nel Fondo pensione aziendale o settoriale ovvero, se questi fondi non esistono, a FondInps (fondo pensione operativo all'Inps). Con la modifica contenuta nella nuova legge, invece, gli accordi collettivi (anche a livello aziendale) potranno decidere quanta parte del Tfr potrà essere destinato alla previdenza complementare e quanta lasciarne in azienda, in modo da superare le resistenze dei lavoratori connesse alla perdita integrale di questa forma di liquidità.

In assenza d’indicazioni da parte della contrattazione collettiva, specifica la nuova norma, il conferi­mento della quota destinata alla previden­za complementare continua a essere per intero, come in precedenza. In parole povere, la nuova norma concede decisi margini di flessibilità agli accordi, seguendo le osservazioni avanzate dalla Covip, che ha più volte raccomandato questa soluzione affermando che … “le fonti istitutive potrebbero definire la misura del Tfr maturando da destinare alla previdenza complementare nel modo più consono rispetto alle esigenze dei soggetti interessati …”. Insomma, una nuova formula che dovrebbe aiutare a decidere il dipendente che non intende perdere l’intero gruzzoletto accumulato durante la sua vita lavorativa.

Pensionamento anticipato. Per il conseguimento della pensione integrativa valgono gli stessi requisiti fissati per il diritto alla pensione obbligatoria dell‘Inps. Una novità della nuova legge riguarda la possibilità di ottenere la pensione integrativa pima, una sorta di prepensionamento. In base alle regole previgenti, la possibilità veniva riconosciuta ai lavoratori in caso di cessazione del lavoro e disoccupati da più di 48 mesi e per un anticipo massimo di 5 anni rispetto ai requisiti ordinari. Queste invece le novità:

1) riduzione a 24 mesi del periodo d'inoccupazione per il diritto all'anticipo della pensione integrativa. Sulle somme oggetto del riscatto si applicherà una ritenuta a titolo d’ imposta con l'aliquota del 23%;

2) l'anticipo può riguardare sia tutta la pensione integrativa e sia parte di essa, e può essere richiesta anche in forma di rendita temporanea, cioè fino alla maturazione dei requisiti per il diritto alla pensione obbligatoria;

3) i fondi pensione possono elevare l'anticipo da 5 anni (il minimo previsto per legge) fino al massimo di 10 anni.

Un tavolo per la riforma. La legge prevede, infine, la convocazione di un tavolo di consultazione per avviare un processo di riforma delle forme pensionistiche complementari. Tra le finalità di quest'ultima, l'individuazione di strumenti d’informazione per l'educazione finanziaria e previdenziale e in materia di forme di gestione del risparmio, inteso alla corresponsione delle prestazioni previdenziali complementari.