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PENSIONI, QUOTA 100 È IN GAZZETTA UFFICIALE

Porta il numero 26 ed è stata pubblicata sulla Gazzetta ufficiale del 29 marzo la legge di conversione del famoso “decretone” che introduce definitivamente "quota 100". La novità più importante nel testo finale riguarda il riscatto agevolato della laurea, cioè la possibilità di far valere gli anni di università ai fini della pensione, pagando una somma più contenuta rispetto a quanto previsto finora. Operazione che, come si ricorderà, nella versione iniziale era percorribile solo per chi aveva meno di 45 anni. Ebbene, un emendamento dell’ultima ora ha fatto saltare questo tetto. E ha aperto le porte del riscatto soft a tutti quelli che, a prescindere dall’età anagrafica, hanno cominciato a lavorare e versare contributi dal primo gennaio del 1996. Coloro cioè che andranno in pensione con il meno favorevole calcolo “contributivo”. Non hanno invece superato l’ostacolo, per mancanza di sufficienti risorse, gli altri emendamenti che chiedevano tra l'altro la nona salvaguardia pensionistica e una estensione ulteriore di “opzione donna” e “ape sociale”.

Quota 100. Rappresenta l’assoluta novità del superamento della legge Fornero. Introdotta in via sperimentale, limitatamente cioè al triennio 2019/2021, consente di andare in pensione anticipata maturando, appunto,” quota 100”, sommando l’età (non inferiore ai 62 anni) e i contributi (almeno 38 anni). Proprio in quanto sperimentale, quota 100 potrà essere richiesta entro il 31 dicembre 2021, termine entro cui occorre maturare sia l’età e sia i contributi per garantirsi il diritto al pensionamento anticipato. In questa ipotesi, non importa che entro la stessa data venga anche esercitato il diritto (cioè sia fatta la domanda di pensionamento): una volta conseguito entro il dicembre 2021, la richiesta di pensionamento potrà essere formulata anche successivamente.
La norma precisa, inoltre, che il requisito d’età (i 62 anni) non è adeguato agli incrementi della speranza di vita; ciò vale, in particolare, per il 2021, poiché dal 1 gennaio di quell’anno è programmato un nuovo incremento demografico.

No alle “divise”. Di quota 100 possono avvalersi praticamente tutti i lavoratori, dipendenti e autonomi, inclusi i parasubordinati (cococo, professionisti senza cassa e altri lavoratori iscritti alla gestione separata dell’Inps), sia del settore privato, sia pubblico. Esclusi invece il personale militare di forze armate e guardia di finanza, di polizia (compresa quella penitenziaria) e quello operativo dei vigili del fuoco.

Tornano le finestre. Occorre ricordare che per l'accesso alla pensione in quota 100, il rateo pensionistico non decorrerà più subito (mese successivo alla domanda), ma dopo una “finestra mobile”: trimestrale per i dipendenti del settore privato e semestrale per i pubblici dipendenti. Per chi ha maturato i requisiti entro il 29 gennaio, la finestra è fissata al 1° aprile 2019 (1 agosto per i pubblici). Per il settore scolastico viene comunque garantito il pensionamento al 1 settembre 2019. Nessuno slittamento è previsto con riferimento al conseguimento della pensione di vecchiaia.

Quanto si intasca. Una scelta molto personale. Alla fine la decisione se andare in pensione a 62 anni di età e 38 di contributi, dipenderà da una serie di fattori e considerazioni che possono variare da persona a persona. Quello economico è uno degli aspetti, ma non il solo e probabilmente nemmeno il principale. Per una quota di potenziali interessati, verosimilmente coloro che si trovano in una fascia professionale e retributiva medio-alta, un ruolo lo giocherà probabilmente anche il divieto di cumulare il trattamento previdenziale con una nuova attività lavorativa, per esempio svolgendo un incarico di consulenza.
Per quanto riguarda le palanche, come si dice a Genova, non è prevista una penalizzazione esplicita - come quella introdotta invece a suo tempo con la riforma Fornero, e poi cancellata negli anni successivi - che prevedeva una decurtazione progressiva (2%) in caso di accesso alla pensione prima dei 62 anni. Stavolta invece l'importo risulterà virtualmente minore, per chi sceglie quota 100, semplicemente a causa del fatto che in caso di proseguimento dell'attività lavorativa fino all'età della vecchiaia (o della pensione anticipata) si sarebbero versati contributi aggiuntivi, che avrebbero reso più elevato l'assegno attraverso due meccanismi diversi.

Da una parte la maggiore anzianità incrementa l'entità del trattamento previdenziale nel sistema di calcolo retributivo; dall'altra nel contributivo, oltre all'aumento del montante, si ha un coefficiente di trasformazione della rendita più favorevole. L'effetto del contributivo, che tiene conto anche dell'età del pensionamento, oltre che della durata della carriera, è però relativo per chi lascia il lavoro oggi: normalmente la quota di pensione determinata con questo metodo di calcolo è solo quella successiva al 2012 (entrata in vigore della riforma Fornero) e quindi corrisponde al 15%-20% del totale.

Le differenze. Ma quanto vale alla fine la differenza? Ovviamente varia in proporzione agli effettivi anni di anticipo. Un esempio. Partendo da una retribuzione netta mensile di 1.500 euro, con un anno e nove mesi la pensione netta sarà più bassa del 6,6% rispetto al caso della vecchiaia, mentre con quattro anni la riduzione di fatto arriverà al 15%. Per ogni anno il calo è all'incirca del 3,5%. Attenzione però. A fronte di questo minore beneficio economico immediato, il trattamento pensionistico verrà percepito per un numero di anni maggiore e, almeno sul piano statistico, questo fattore dà convenienza alla scelta di chi preferisce lasciare il lavoro in anticipo. Per farsi un'idea basti pensare che attualmente l'aspettativa di vita a 67 anni (l'età di vecchiaia) è calcolata dall'Istat in circa 19. Aggiungendone uno solo di pensione si ha un incremento percentuale del periodo medio in cui si percepisce l'assegno superiore al 5%. Alla fine, insomma, la scelta di lasciare il lavoro non risulta penalizzante nemmeno sotto il profilo economico.

Vietato cumulare. Il decreto prevede che l’assegno con “quota 100” non sia cumulabile con redditi da lavoro superiori a 5 mila euro l’anno. Divieto che durerà fino alla data in cui il pensionato raggiungerà l’età di vecchiaia, cioè i 67 anni. Condizione questa che, come detto sopra, dovrebbe scoraggiare una parte degli aventi diritto. Soprattutto chi possiede un’elevata professionalità che, come si sa, una volta andato in pensione si dedica a prestare consulenze.

Non sarà dunque possibile svolgere alcuna attività lavorativa a partire dal primo giorno di pensionamento. Questa limitazione sarà sicuamente oggetto del maggior numero di richieste di interpretazione: cosa significa che sarà vietato svolgere attività? Quale sarà la discriminante? La tipologia di reddito? E un’attività che non produce redditi? E la partecipazione a società di capitali? E quale sarà il limite entro il quale potrà essere giudicata attività lavorativa quella svolta all’interno di un’impresa familliare in cui figurano parenti e affini?


Leonardo Comegna

http://www.parlamento.it