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QUOTA 100 E PENSIONI D’ORO, LE PROPOSTE SUL TAPPETO

Nel clima d’incertezza politica che caratterizza l’attuale governo, circolano numerose (forse troppe) indiscrezioni su quelle che potrebbero essere le misure del nuovo esecutivo sulla previdenza. Se in un primo momento sembrava che la soluzione per “superare” la riforma Monti-Fornero potesse essere la predisposizione della famosa “Quota 100” (somma di età anagrafica e anzianità contributiva), negli ultimi giorni quest’ipotesi sembra sfumare, o quanto meno destinata a essere attenuata.

E che fare sulla questione “pensioni d’oro”? Ognuno dice la sua, evidenziando il vizio tipico degli italiani: 60 milioni di commissari tecnici pronti a segnalare la formazione ideale della nazionale di calcio.  Su questo punto è intervenuto qualche giorno fa, con una proposta elaborata dal centro studi “Itinerari previdenziali”, il professor Alberto Brambilla, già sottosegretario al Ministero del Lavoro nel governo Berlusconi, un tecnico profondo conoscitore della materia.

Secondo i dati dell'Osservatorio conti pubblici, la spesa previdenziale italiana è già una delle più alte d'Europa. Uno studio dell'Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che le uscite per prestazioni previdenziali, che nel 2015 valevano il 15,7% del Pil (il Prodotto interno lordo), potrebbero arrivare fino al 20,5% nel 2040, per poi ridursi progressivamente fino a toccare, nello scenario più favorevole, il 13,1% nel 2070. Già da questi pochi numeri, è evidente che non è nemmeno lontanamente immaginabile che si possa aumentare la percentuale di risorse destinate alla spesa pensionistica. Ma torniamo a occuparci delle cose concrete.

Quota 100. Una soluzione per tenere in piedi questa pista, da riprendere in esame nella prossima Legge di stabilità, potrebbe essere quella di “ripensare” una Quota 100, con l’introduzione di alcuni paletti, in modo da consentire l’accesso alla pensione anticipata a un numero minore di soggetti. L’ipotesi più accreditata è quella di consentire il pensionamento con un’età minima di 64 anni e un minimo di 36 anni di contributi. Ma attenzione, avverte un recente studio della Uil, senza abolire (scade nel 2018) l’Ape sociale”, la possibilità di anticipare il pensionamento da parte di soggetti in particolare disagio. Nello studio vengono elencati alcuni esempi dell’effetto che l’introduzione di “quota 100” potrebbe avere su chi al momento ha diritto all’Ape sociale. Eccoli:

1) lavoratore disoccupato: un disoccupato di 63 anni, oggi, potrebbe accedere all’Ape sociale con 30 anni di contribuzione; con “quota 100”, ipotizzando che non riesca a trovare un altro lavoro, rimarrebbe senza tutele fino al compimento dei 67 anni, l’età della pensione di vecchiaia;
2) lavoratore disabile. Un soggetto con una disabilità o che assiste un familiare disabile, oggi, potrebbe accedere all’Ape sociale con 30 anni di contribuzione maturata a 63 anni di età. Con l’introduzione di “quota 100” dovrebbe lavorare ancora per altri 3 anni e 6 mesi, fino al compimento di 66 anni e 6 mesi per arrivare a quota 100, con un anticipo sulla pensione di vecchiaia attuale di soli sei mesi;

3) lavoratore con mansioni gravose: un lavoratore che svolge mansioni gravose, oggi, potrebbe accedere all’Ape sociale a 63 anni con 36 anni di contributi, “quota 99”. Con l’introduzione di “quota 100” dovrebbe attendere almeno un anno per il compimento dei 64 anni di età o la maturazione di un altro anno di anzianità contributiva;

4) lavoratrice madre: le donne madri di famiglia, oggi, possono ridurre di 2 anni la quota di accesso per l’Ape sociale. La differenza con “quota 100” inciderebbe, quindi, in modo più grave su di loro, rendendo più conveniente il pensionamento con l’età di vecchiaia a 67 anni.
In conclusione, secondo lo studio dell’organizzazione sindacale sarebbe auspicabile una proroga dell’Ape Sociale e l’istituzione della quota “100”, senza penalizzazioni e senza calcolo di pensione con il sistema interamente contributivo, per allargare la platea di coloro che vorranno andare in pensione nel prossimo futuro, per un vero e serio ricambio generazionale.

Pensioni d’oro. In alternativa al ricalcolo sulle pensioni d’oro proposto da un progetto di legge del Movimento 5 Stelle (sulle pensioni sopra i 4mila euro netti), difficile peraltro da realizzare per via della mancanza di tutti i dati di cui dispone l’Inps, interviene Aberto Brambilla, tecnico accreditato alla Lega. Secondo il professore, se si vuole dare un segnale di un “rafforzamento del patto intergenerazionale” insito e base del sistema a ripartizione, si potrebbe percorrere la strada del contributo di solidarietà. Se previsto per un periodo limitato (3 anni) e finalizzato a garantire una maggiore sostenibilità del sistema stesso, con criteri di proporzionalità, ragionevolezza e progressività, questa misura potrebbe facilmente superare un possibile intervento della Corte costituzionale.

E, aggiunge, può consentire una copertura dei costi iniziali di due importanti strumenti: il fondo per l’occupazione e il fondo per la non autosufficienza. Infatti, considerando che il nostro sistema è a ripartizione (le pensioni di oggi si pagano con i contributi dei lavoratori attivi di oggi), risulta immediato l’interesse dei pensionati a pagarsi una “polizza” che favorisca una maggiore e più ampia occupazione: come? Attraverso un contributo di scopo per il “Fondo per l’occupazione” che tuttavia, per soddisfare i requisiti della Consulta, dovrebbe essere spalmato su una platea più numerosa di 58mila pensionati. Non si tratterebbe quindi di una “tassa”, ma di una contribuzione straordinaria per rafforzare il sistema pensionistico consolidandone la sostenibilità di medio lungo termine, in previsione di ulteriori misure finalizzate a dare occupazione al maggior numero di soggetti (risistemazione degli attuali strumenti di sostegno al reddito e dei fondi per la formazione).

L’obiettivo della proposta. L’obiettivo è quello di raggiungere nel giro di 3 anni i 24 milioni di occupati, portando sopra il 61% il tasso di occupazione e all’1,5% il rapporto attivi/pensionati: in sostanza, si tratta di un aumento di circa 250mila unità l’anno per tre anni. Dopo il terzo anno il Fondo verrebbe alimentato da un contributo dello Stato favorito da maggiori imposte versate da questa nuova platea di occupati che, quindi, autoalimenterebbero il Fondo. Applicando il contributo di solidarietà, i risparmi sono molto più alti del ricalcolo previsto dalla proposta di legge del Movimento 5 stelle, valutabili in circa 1,2 miliardi netti di euro per ogni anno, da utilizzare per finanziare il “super ammortamento” del costo del lavoro al 130% per chi assume un under 29 o un over 57 anni o una donna over 50, per poi arrivare al 100% al quinto anno di assunzione.

Questo credito d’imposta d’importo massimo per il primo anno di 7mila euro per ogni assunto (che decresce del 20% l’anno) è alternativo alla decontribuzione prevista dai precedenti governi: quest’ultima va a beneficio anche delle aziende decotte, che a fine incentivo licenziano o chiudono. D’accordo con le parti sociali, dunque, si potrebbe pensare di sottoporre tutte le pensioni da 2mila euro (è una decisione eminentemente politica) a un contributo di solidarietà che cresce progressivamente fino al 12%-15% per quelle più elevate. Il contributo è calcolato sulla base dei singoli scaglioni di pensione e non sull’importo totale.

www.itinerariprevidenziali.it

Leonardo Comegna