L’EQUO COMPENSO IN ARRIVO PER I LIBERI PROFESSIONISTI
Equo compenso esteso a tutti i professionisti, anche a quelli non iscritti a ordini e collegi. La novità è contenuta in un emendamento al Decreto legge fiscale (n. 148/2017) approvato dalla commissione Bilancio del Senato. Il testo allarga la misura, inizialmente prevista esclusivamente per gli avvocati, a tutti i lavoratori autonomi. Prende così corpo una delle maggiori richieste espresse dal mondo delle professioni nell’ultimo anno: una misura che garantisce una paga per i professionisti “commisurata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione” offerta. Una parola fine, dunque, a quello che veniva definito un vero e proprio “caporalato intellettuale”.
L’altra importante novità riguarda la Pubblica amministrazione, inserita tra i soggetti obbligati a corrispondere un equo compenso alle prestazioni professionali. La norma precedente prevedeva il dovuto rispetto della disposizione esclusivamente in capo a imprese bancarie, assicurative e alle grandi aziende, quelle che non rientrano nelle categorie di micro, piccole o medie imprese. La paradossale offerta d’incarichi professionali gratuiti o a un euro, legittimata addirittura da una decisione dei giudici amministrativi (i Tar), sarà solo un brutto ricordo per circa cinque milioni di professionisti. L'approvazione dell'emendamento ha trovato il favore di tutti i vertici degli ordini e delle associazioni di categoria, oltre che delle forze politiche.
Il giusto compenso. La modifica normativa riguarda la legge (247 del 2012) che disciplina ordinamento forense. Oltre a definire cosa s’intenda per equo compenso, che, come detto, è tale quando commisurato alla quantità e alla qualità della prestazione, la nuova disposizione considera vessatorie, e quindi nulle, alcune clausole, che determinano, cioè, anche in ragione della non equità del compenso pattuito, un significativo squilibrio contrattuale a sfavore del professionista.
Pagamento in 60 giorni. Le clausole considerate vessatorie prevedono la possibilità offerta al cliente di:
1) modificare unilateralmente le condizioni del contratto; -
2) rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali dello stesso; -
3) pretendere prestazioni aggiuntive a titolo gratuito; -
4) richiedere l'anticipazione delle spese della controversia a carico dell'avvocato; -
5) prevedere la rinuncia del rimborso spese; -
6) stabilire termini di pagamento superiori ai 60 giorni.
Inoltre, saranno considerate vessatorie clausole che prevedano, nel caso di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, che all'avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto, oppure che fissino compensi minori in luogo di convenzioni sostitutive equivalenti. Infine, non potrà essere previsto che, in caso di consulenza in materia contrattuale, il compenso per l'avvocato sia previsto solo in caso di sottoscrizione del contratto. Le clausole vessatorie saranno considerate nulle, ma non pregiudicheranno la validità dell'intero contratto che, escluse le clausole, rimarrà in vigore. L'azione volta alla dichiarazione di nullità dev’essere proposta entro 24 mesi dalla sottoscrizione del contratto, pena decadenza dell'opportunità. Inoltre, la nullità opera soltanto a vantaggio del professionista.
Interviene il giudice. Una volta accertata la non equità del compenso e il carattere vessatorio di una o più clausole, spetterà al giudice determinare la paga per il professionista, sulla base dei parametri contenuti nel regolamento emanato dal Ministero della Giustizia. Il giudice provvederà, inoltre, a definire nulle le clausole considerate vessatorie. Per le altre categorie senza ordine occorrerà individuare modalità di determinazione dei compensi. Il provvedimento riguarda circa 4,4 milioni di persone, visto che, le categorie non regolamentate (la maggioranza dei free-lance) hanno circa 3 milioni di soggetti e quelle organizzate in ordini comprendono oltre 1,4 milioni di lavoratori.