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TFR IN BUSTA PAGA, UN AUTENTICO FALLIMENTO

A un anno dall’avvio, l’operazione sul Tfr in busta paga si conferma un flop a causa dell'imposizione ordinaria, troppo penalizzante per il lavoratore. È quanto emerge da una recente stima della Fondazione dei consulenti del lavoro, dove risulta che meno dell’1% degli interessati (12 milioni di lavoratori del settore privato in servizio da almeno 6 mesi) ha chiesto all’azienda di anticipare la liquidazione nel proprio stipendio mensile. Dallo studio (realizzato su un campione di circa 900mila lavoratori subordinati) è emerso che solo lo 0,74% di essi, in tutto 6.712 persone, si è avvalso dell’opportunità di ricevere il trattamento di fine rapporto a rate prima della fine della vita lavorativa.

Di cosa parliamoLa norma che prevede la possibilità di avere un anticipo del Trattamento di fine rapporto dilazionato con lo stipendio mensile fino a giugno del 2018, è entrata in vigore il 3 aprile del 2015: l’operazione era possibile a partire dal mese successivo, quindi da maggio. Ma il prelievo fiscale sull'anticipo è a tassazione ordinaria, e quindi conveniente solo per le fasce più basse di reddito, fino a 15mila euro all'anno. Per chi supera questa soglia, il rischio è di un aggravio fiscale, fino a 569 euro l'anno in più. Nella relazione tecnica della Legge di stabilità 2015, il Governo aveva ipotizzato che la norma potesse interessare il 40-50% dei lavoratori dipendenti. Ma il bilancio è assolutamente al ribasso.

Numeri deludenti. Su un campione di circa un milione di dipendenti, ad agosto 2015, dopo cinque mesi dall'entrata in vigore della norma, la scelta di liquidare il Tfr maturando in busta paga aveva riguardato da 8.420 lavoratori, ossia lo 0,83%. In quest’ultima fotografia, che la Fondazione dei Consulenti del lavoro ha eseguito su un campione di circa 900 mila soggetti, la musica non è cambiata. A un anno di applicazione della legge, solo lo 0,74% degli interessati (6.712) si è avvalso di questa opportunità. Le motivazioni sono le stesse. La maggioranza degli intervistati (il 52%) ha affermato di non aver chiesto l'anticipazione perché la tassazione è troppo penalizzante; mentre il 18% ritiene che sia troppo dannoso per la pensione rinunciare a versare il Tfr in un fondo integrativo. Il 7% dichiara di non aver ancora valutato adeguatamente la misura, mentre il 22% non vuole rinunciare al "gruzzoletto" a fine carriera. La legge fortemente voluta dal premier Matteo Renzi, che l’aveva annunciata come chance per “rilanciare i consumi”, si  sta rivelando un vero e proprio fallimento. I dati dimostrano, come sottolineato dai Consulenti del lavoro, che le famiglie hanno comunque bisogno di liquidità derivante dalla crisi economica e dalle difficoltà di accedere al credito bancario. In alternativa alla liquidazione del Tfr di un periodo futuro fino a giugno 2018 con forti penalizzazioni, il lavoratore preferisce richiedere una parte del Tfr accantonato in azienda o presso i fondi pensione.