SI CHIUDE CON UN FLOP L’OPERAZIONE TFR IN BUSTA PAGA
Mentre si avvia a conclusione la possibilità di chiedere il Tfr in busta paga (30 giugno ultima data), alla prova dei numeri l’operazione risulta un vero e proprio fallimento. E’ quanto emerge dai recenti dati dell’Inps, da cui emerge che dal maggio 2015 a oggi solo l’1,3% dei lavoratori interessati ha infatti chiesto all'azienda di anticipare il Tfr nello stipendio mensile. Il motivo è da attribuire principalmente al fisco. L'imposizione Irpef su questa scelta, ordinaria e non separata come accade normalmente per il Tfr che si riceve a fine carriera, risulta troppo penalizzante per il lavoratore. Insomma, quella che doveva essere una boccata d’ossigeno per molte famiglie, nonché un volano per la ripresa economica, nella pratica, si è rivelata un vero e proprio flop.
La tassazione scoraggia. La norma, che prevede la possibilità di avere un anticipo del Trattamento di fine rapporto dilazionato con lo stipendio mensile fino a giugno del 2018, è divenuta operativa ad agosto 2015. Ma il prelievo fiscale sull'anticipo è a tassazione ordinaria, e quindi conveniente solo per le fasce più basse di reddito, fino a 15mila euro all'anno. Per chi supera questa soglia, il rischio è di un aggravio fiscale, fino a 569 euro all'anno in più. Nella relazione tecnica della Legge di Stabilità 2015 il governo di allora (Renzi-Poletti) aveva ipotizzato che la norma potesse interessare il 40-50% dei lavoratori dipendenti. Il bilancio finale, però, è assolutamente al ribasso.
Piccoli numeri. Alla vigilia della chiusura dell’operazione, la richiesta del “Quir” (quota integrativa dalla retribuzione), ha riguardato meno di 280mila lavoratori, ossia l’1,3% della vasta platea dei dipendenti. Da uno studio della Fondazione dei Consulenti del lavoro del 2016 era emerso che la maggioranza degli interessati non ha chiesto l'anticipazione perché la tassazione è troppo penalizzante, mentre un'altra grossa parte non vuole rinunciare al "gruzzoletto" a fine carriera. Quest’insuccesso, insomma, è l’ennesima dimostrazione che spesso la politica non è in stretto contatto con chi parla tutti i giorni con lavoratori e imprese.
Leonardo Comegna