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PENSIONI: LA CORTE COSTITUZIONALE BOCCIA LA LEGGE ANTI-BADANTI

Condizionare il diritto alla pensione di reversibilità all’età in cui si contrae il matrimonio è illegittimo. È quanto ha stabilito la Corte costituzionale (nella foto il presidente Paolo Grossi) con la sentenza n. 174/2016, che ha dichiarato l’incostituzionalità della norma che limitava l’ammontare della pensione di reversibilità, quando il coniuge scomparso aveva contratto matrimonio a un’età superiore ai 70 e il coniuge superstite era più giovane di almeno 20 anni. La norma, ribattezzata “ legge anti badanti”, intendeva porre un freno ai matrimoni di convenienza, spesso stipulati tra anziani e appunto badanti, solo per assicurare un futuro economico alla persona di servizio. La Corte, richiamandosi alla propria costante giurisprudenza, ha quindi ritenuto irragionevole una limitazione del trattamento previdenziale, connessa al mero dato dell’età avanzata del coniuge e della differenza di età tra i coniugi.

Cosa dice la legge bocciata. Si tratta dell’articolo 18 della legge 111/2011, dove si dice che con effetto sulle pensioni decorrenti dal primo gennaio 2012, l'aliquota percentuale della pensione a favore dei coniugi superstiti è ridotta in misura pari al 10% in ragione di ogni anno di matrimonio mancante rispetto al numero di 10, in tutti i casi in cui il matrimonio sia stato contratto con le seguenti caratteristiche:

1) età del deceduto superiore a 70 anni;

2) differenza di età tra i coniugi superiore a 20 anni.

La norma, in pratica, era finalizzata a evitare il rischio che attraverso matrimoni “di comodo” o “di ultima istanza” si venisse ad appesantire la bilancia pensionistica, già oggi sbilanciata a favore delle prestazioni, rispetto ai contributi.

Le motivazioni. Secondo i giudici della Consulta, l’ordinamento configura la pensione di reversibilità come una forma di tutela previdenziale, uno strumento necessario per il perseguimento dell’interesse della collettività alla liberazione di ogni cittadino dal bisogno. Come la stessa Corte ha chiarito in passato, essa risponde all’esigenza di garantire quelle minime condizioni economiche e sociali che consentono l’effettivo godimento di diritti civili e politici (articolo 3 della Costituzione) con una riserva, costituzionalmente riconosciuta, a favore del lavoratore, di un trattamento preferenziale rispetto alla generalità dei cittadini (articolo 38 della stessa Costituzione). In virtù di questa connotazione previdenziale, il trattamento di reversibilità si colloca nell’alveo degli articoli della Carta fondamentale, che prescrivono l’adeguatezza della pensione quale retribuzione differita e l’idoneità della stessa a garantire un’esistenza libera e dignitosa. In sostanza, la Corte ha ritenuto che la norma bocciata abbia irragionevolmente sacrificato i diritti previdenziali del coniuge superstite. Non resta che verificare gli impatti per il bilancio dell’Inps, che già da subito dovrà “rimpolpare” l’assegno di chi in questi anni non ha ricevuto (l’asserito) dovuto.

www.cortecostituzionale.it