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IN PENSIONE SEMPRE PIÙ TARDI, ADEGUAMENTO PIÙ PESANTE DAL 2019

Stop della Ragioneria generale dello Stato ai tentativi per rallentare l'adeguamento all'aspettativa di vita dei requisiti anagrafici necessari per accedere al pensionamento. Alle richieste del fronte sindacale affinché non scatti l'aumento a 67 anni (attualmente previsto per il 2019), la Ragioneria, l’organo che tiene sotto controllo i conti del Paese, risponde picche. Peraltro, l’ipotesi di un blocco dei requisiti rappresenterebbe solo una misura tampone, visto che anche in presenza di un rinvio dell'adeguamento automatico alla speranza di vita, il requisito verrebbe comunque adeguato a 67 anni nel 2021, come previsto dalla riforma Fornero, quale clausola di salvaguardia introdotta nell'ordinamento su specifica richiesta della Commissione Ue e della Bce.

Stando agli scenari demografici Istat, nel 2019 i requisiti per la pensione di vecchiaia saliranno di cinque mesi: dagli attuali 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Dai dati dell’Istituto di statistica dipendono i due stabilizzatori automatici della nostra spesa pensionistica: i coefficienti di trasformazione del montante contributivo (utilizzati per il calcolo delle nuove pensioni) e l’adeguamento dei requisiti di età sulla base della variazione triennale (biennale dal 2019) della speranza di vita a 65 anni. L’adeguamento colpirà in particolare le donne, che  già dal primo gennaio 2018 vedranno scattare l'ultimo gradino previsto dalla più recente riforma, che aggancerà l'età a quella degli uomini. Insomma, nel prossimo biennio l'incremento potrebbe essere di ben un anno e cinque mesi.

L’adeguamento automatico. Dal momento che si vive più a lungo, occorre andare in pensione più tardi. E’ questa la filosofia di base che ha ispirato la legge (n. 122 del 2010), con cui è stato deciso che i requisiti anagrafici nel corso del tempo dovranno fare riferimento all’incremento della speranza di vita. La manovra economica dell’estate 2011 ha anticipato al 2013 (avrebbe dovuto partire dal 2015) quest’adeguamento, che avverrà con cadenza biennale a partire dal 2019. L’età della pensione è legata alla speranza di vita a 65 anni, cioè il tempo che in media resta da vivere una volta superata la boa dei 65. E a parlare chiaro sono i numeri sul tavolo dei tecnici dei Ministeri di Economia e Lavoro, oltre che della Presidenza del consiglio. La speranza di vita dopo i 65 anni si sta allungando: per gli uomini siamo passati dai 18,6 anni del 2013 ai 19,1 anni del 2016, per le donne da 22 a 22,4 anni. Per questo,  l’ipotesi è che l’età di pensionamento venga spostata verso l’alto: nel 2019 potrebbe dunque passare dai 66 anni e sette mesi di adesso a 67 anni. Non sarebbe una differenza da poco, e spingerebbe ancora più in alto quei requisiti previdenziali che già adesso fanno dell’Italia uno dei Paesi dove si va in pensione più tardi.

Due ex ministri contro. Lavorare a un rinvio strutturale dell’adeguamento dell’età di pensionamento. E’ questo invece l’appello che i presidenti delle commissioni Lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, girano a Governo e Parlamento, definendo l’aumento automatico dell’età “inconcepibile oltre che irragionevole”. In Austria - dice Damiano - gli uomini vanno in pensione a 65 anni e le donne a 60, in Belgio gli uomini a 65 anni e le donne con pensione anticipata, in Danimarca entrambi a 65 anni. Poi ci sono anche dei processi di “adeguamento” come in Germania, dove si arriverà a 67 anni, ma nel lontano 2029. Contrario, ma con diversa motivazione, anche il presidente dell’Inps, Tito Boeri, secondo cui il superamento di questo adeguamento automatico non farebbe altro che far salire la spesa pensionistica  (il costo per lo Stato sarebbe di 141 miliardi), a danno  delle future generazioni. C’è poco da fare: entrare in tarda età nel mondo del lavoro con attività precarie e frammentarie non può far certamente sperare in una pensione decorosa. Le scelte finali avverranno in autunno, quando si dovrà mettere mano alla manovra economica (Legge di Bilancio 2018).

www.inps.it