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QUOTA 100, TRE POSSIBILI "PIANI B"

Il superamento della riforma Monti-Fornero è senz’altro il tema più delicato fra quelli aperti sulla manovra economica 2019, che il governo dovrà presentare a metà ottobre. Tema delicato per due diversi motivi. Primo, mandare le persone in pensione prima rischia di provocare reazioni negative sui mercati finanziari e da parte della Commissione europea. Secondo, la famosa “quota cento” (somma di età e anzianità contributiva), fortemente sponsorizzata dal vice premier Matteo Salvini, costerebbe, secondo le stime arrivate al ministero del Lavoro, qualcosa come 8 miliardi nel 2019 e ancora di più negli anni successivi.

Per questo si sta studiando un “piano B” che ridurrebbe i costi da 8 a 2 miliardi, senza trascurare apposite misure che tutelino soprattutto quei lavoratori che svolgono attività particolarmente usuranti e gravose (leggi proroga dell’Ape sociale al 2019). Secondo attendibili indiscrezioni, una mano al “piano B” la darebbero imprese e sindacati, con i quali il governo sta approntando un accordo quadro per il più volte invocato “ricambio generazionale” (fuori dal mondo del lavoro i più anziani per far posto ai giovani). Accordo che darebbe il via a fondi di categoria di prepensionamento (fino a cinque anni) che si farebbero carico di parte dei costi delle uscite dei lavoratori in esubero.

Situazione di oggi. Prima di parlare delle possibili novità, facciamo una breve panoramica della situazione attuale, creatasi con le riforme (non solo la Fornero) degli ultimi anni. Ebbene, dal 1 gennaio 2019 per intascare la rendita di vecchiaia servono 67 anni d’età e 20 anni di contributi. È pure possibile anticipare l’addio al lavoro, ma per poterlo fare, sempre dal prossimo gennaio, occorre, indipendentemente dall’età, un minimo di 43 anni e 3 mesi di contributi (un anno in meno per le donne).

Quota 100 molto costosa. L’ipotesi “quota 100” prevede l’accesso alla pensione già a 62 anni d’età, purché si abbiano 38 anni di contributi (la somma fa appunto 100). Ma si potrebbe lasciare il lavoro anche a 63 anni con 37 di contributi, a 64 con 36 e a 65 con 35. Quest’ultima ipotesi, la più generosa, consentirebbe di andare in pensione nel 2019 a una platea potenziale di 492mila lavoratori. Il costo sarebbe appunto di circa 8 miliardi. Che salirebbe ancora se, come vorrebbe Salvini, si riducesse a 41 anni e mezzo anche il requisito per la pensione anticipata a prescindere dall’anagrafe.

Ipotesi più contenute. Per ridurre i costi ci sarebbero più possibilità. La prima è quella di alzare l’asticella del minimo di contributi richiesto per quota 100. Se si portasse a 36, facendo fuori la combinazione 65 anni più 35 di versamenti, la platea dei potenziali pensionati in più scenderebbe a 450 mila. E qualora il limite salisse a 37 anni di contributi, la platea si ridurrebbe a 433mila e la spesa aggiuntiva a 7 miliardi. Ancora troppo. Ecco quindi altre tre ipotesi.

La prima: applicare il ricalcolo contributivo, sui versamenti dal 1996 in poi per chi va in pensione con quota 100, che significherebbe prendere un assegno più basso (del 10%-15% nella gran parte dei casi).

La seconda: consentire accrediti figurativi non superiori a due anni (disoccupazione, cassa integrazione eccetera) e agganciare quota 100 agli scatti biennali della cosiddetta speranza di vita. La terza, quella più restrittiva: limitare nel primo anno quota 100 solo a determinate categorie di lavoratori svantaggiati, sulla falsa riga dell’Ape sociale (ne beneficiano a 63 anni e 36 di contributi disoccupati, invalidi e lavoratori con disabili a carico e, a 63 anni e 30 di contributi, chi svolge lavori gravosi).

Fondi esuberi. Qualunque soluzione sia adottata, si dà per certo il varo di un canale parallelo, attraverso i fondi di categoria frutto di accordi tra imprese e sindacati. Sulla scorta di modelli già esistenti (credito, assicurazioni, trasporti, chimici) che consente ai lavoratori in esubero il prepensionamento fino a cinque anni. Operazione finanziata da un contributo ad hoc dalle imprese e incentivato fiscalmente. Forse questo alla fine potrebbe essere il canale principale di uscita anticipata dal lavoro. Quello che attuerebbe il ricambio generazionale. Anche perché molti imprenditori dicono che se potessero alleggerirsi della manodopera più anziana (che ha difficoltà nel confrontarsi con le nuove tecnologie) tornerebbero a occupare più giovani. E dunque una parte dei costi verrebbe riassorbita rapidamente dai maggiori contributi versati.

Leonardo Comegna

www.parlamento.it