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LA SANITÀ NON È PER TUTTI, UN ITALIANO SU QUATTRO RINUNCIA ALLE CURE

Quasi un italiano su quattro (il 22,3%) non riesce a far fronte alle spese sanitarie che deve sostenere di tasca propria per cure necessarie. Una percentuale salita vertiginosamente, considerando che nel 2006 era appena il 7,8%. Insomma, più sanità, ma solo per chi può permettersela. Nel 2016 il servizio sanitario nazionale pubblico ha "espulso" oltre 13,5 milioni di persone. La spesa di tasca propria per la salute sale a 35,2 miliardi di euro (più 4,2% nel periodo 2013-2016). E l'area della “sanità negata” continua a espandersi: nell'ultimo anno 12,2 milioni d’italiani (1,2 milioni in più rispetto all'anno precedente) hanno rinunciato o rinviato prestazioni sanitarie. E' l'allarme contenuto nel settimo “Rapporto sulla sanità” realizzato dal Censis e dalla compagnia Rbm salute, presentato nei giorni scorsi a Roma in occasione del Welfare day..

La regressività sociale. Tra i cittadini che hanno dovuto affrontare spese sanitarie private, hanno incontrato difficoltà economiche il 74,5% delle persone a basso reddito (ma anche il 15,6% delle persone benestanti), il 21,8% al Nord, il 35,2% al Centro, fino al 53,8% al Sud. E ha avuto difficoltà ben il 51,4% delle famiglie che al proprio interno hanno una persona non autosufficiente. La spesa sanitaria privata, ormai capillarmente diffusa tra gli italiani, pesa di più su chi ha meno, vive in territori più disagiati e su coloro che più hanno bisogno della sanità per curarsi. E più s’invecchia, più si deve mettere mano al portafoglio per pagarsi le cure: fatta 100 la spesa privata pro-capite degli italiani, per un anziano si arriva a 146. Un anziano spende di tasca propria più del doppio rispetto ai millennials”, cioè i nati tra gli anni Ottanta e il 2000.

Attese sempre più lunghe. Il fatto che gli italiani debbano ricorrere di più al privato e pagare di tasca propria, deriva dall’attesa per le prestazioni del servizio pubblico, che è troppo lunga e spesso richiede anche l'esborso del ticket: così tanti vanno nel privato e pagano a tariffa intera. Per una mammografia si attendono in media 122 giorni (60 in più rispetto al 2014) e nel Mezzogiorno l'attesa arriva a 142 giorni. Per una colonscopia l'attesa media è di 93 giorni (più 6 giorni rispetto al 2014), ma al Centro di giorni ce ne vogliono 109. Per una risonanza magnetica si attendono in media 80 giorni (più 6 giorni rispetto al 2014), ma al Sud sono necessari 111 giorni. Per una visita cardiologica l'attesa media è di 67 giorni (più 8 giorni rispetto al 2014), ma l'attesa sale a 79 giorni al Centro Italia.  Per una visita ortopedica 66 giorni (più 18 giorni rispetto al 2014), con un picco di 77 giorni nel Mezzogiorno.

Sanità pubblica in declino. Queste le voci di spesa per le quali si fa più fatica ad avere accessibilità alle cure: al primo posto le visite specialistiche (74,7%), seguite dall'acquisto dei farmaci o dal pagamento del ticket (53,2%), per proseguire con gli accertamenti diagnostici (41,1%), l'odontoiatria (40,2%), le analisi del sangue (31%), lenti e occhiali da vista (26,6%), le prestazioni di riabilitazione (14,2%), protesi, tutori, ausili vari (8,9%). Per garantire il mantenimento degli attuali standard assistenziali da parte del Servizio nazionale mancano dai 20 ai 30 miliardi di euro. C'è il modo per superare le criticità?

“I soldi necessari potrebbero essere recuperati rendendo obbligatoria la sanità integrativa per tutti i cittadini”, sostiene Marco Vecchietti, Consigliere delegato di Rbm Salute, “come già avvenuto in Francia dove, grazie a un sistema di assicurazioni sociali aggiuntivo al sistema pubblico, è possibile curarsi liberamente nelle strutture sanitarie che garantiscono qualità e tempi di accesso immediati". Solo il 20% degli italiani riesce a tutelarsi da questa situazione sempre più difficile attraverso una polizza sanitaria integrativa, prevista dal proprio contratto di lavoro o dalla propria azienda o stipulata individualmente, rispetto alla quasi totalità dei francesi (circa il 97,5%) e a più di un terzo dei tedeschi (oltre il 33%).

www.censis.it

www.rbmsalute.it