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INFLAZIONE A ZERO, NEL 2017 NESSUN AUMENTO PER LE PENSIONI

Com’è avvenuto l’anno scorso, anche nel 2017 i pensionati non vedranno alcun aumento. Il consueto decreto interministeriale (Lavoro-Economia) che anticipa la cosiddetta perequazione automatica, con il compito di fissare un indice provvisorio da conguagliare all’inizio dell’anno successivo, prevede infatti un indice d’inflazione pari a zero.

Valori bloccati. C’è di buono che, a differenza dello scorso anno, gli importi in pagamento non si riducono. Infatti, a gennaio 2016 i pensionati erano partiti con un debito nei confronti dell’Inps (nella foto il presidente Tito Boeri), dal momento che l’aumento attribuito in via provvisoria a gennaio 2015 (più 0,3%), è risultato inferiore al dato definitivo fornito dall’Istat per il 2014 (0,2%). Con la conseguenza che l’Istituto di previdenza avrebbe dovuto procedere al conguaglio negativo dello 0,1%. Cosa che però non è avvenuta, grazie alla sanatoria prevista da un apposito emendamento inserito dallo stesso  Governo nel testo del Legge di Bilancio 2016. L’importo del trattamento minimo 2017 resta quindi pari a 501,89 euro mensili (6.524,57 euro annui). Anche l’assegno sociale, la rendita assistenziale corrisposta agli ultrasessantacinquenni privi di altri redditi, introdotta dalla riforma Dini in sostituzione della “vecchia” pensione sociale, rimane ferma a 448,07 euro al mese (5.824,91 l’anno).

Meccanismo inceppato. Le pensioni vengono rivalutate sulla base di un meccanismo ragguagliato al costo della vita. Per dar modo all’Inps di predisporre per tempo i mandati di pagamento, a fine novembre si fa una previsione dell’andamento dell’inflazione e se ne riportano gli effetti sui trattamenti, riservandosi un conguaglio alla fine dell’anno successivo, in presenza del dato effettivo. Prima della riforma Fornero, l'adeguamento pieno all'inflazione riguardava tutte le pensioni fino a tre volte il trattamento minimo e scendeva al 90% per gli importi fra tre e cinque volte il minimo e al 75% oltre cinque volte il minimo. Le attuali regole prevedono, per il quadriennio 2015-2018, che l’adeguamento venga attribuito;

1) al 100% per i trattamenti complessivi fino a tre volte il trattamento minimo (circa 1.500 euro al mese);

2)  al 95% per quelli da tre a quattro volte il  minimo;

3) al 75% per quelli da quattro volte a cinque volte il minimo;

4) al 50% per quelli da cinque a sei volte il minimo;

5) al 45% per i trattamenti complessivi superiori a sei volte il trattamento minimo.

Inoltre, il nuovo sistema di rivalutazione non avviene più per scaglioni: in pratica le riduzioni, quando previste, riguardano l'intero assegno, e non solo la parte eccedente la soglia garantita. Insomma, sulle indicizzazioni ci sono stati molti interventi, spesso contradditori e con l’unico scopo di produrre risparmi di spesa. Non va trascurato il fatto che con i blocchi, la prestazione si riduce in modo  strutturale e non è più recuperabile nel valore.

Promesse dal Governo. Che il meccanismo si sia inceppato, con un grave danno della categoria degli anziani, se n’è accorto pure il Governo. Non a caso lo scorso 28 settembre,  nell’incontro conclusivo con le parti sociali (dove è stata delineata l’ormai famosa Ape, l’anticipo pensionistico), il rappresentante dell’Esecutivo, Tommaso Nannicini, si è impegnato a reintrodurre un sistema di perequazione basato sugli "scaglioni di importo". Confermando, in pratica, a partire dal 2019, il ritorno del vecchio meccanismo. Si è inoltre impegnato a valutare la possibilità di utilizzare un diverso indice per la rivalutazione, maggiormente rappresentativo della struttura dei consumi dei pensionati (un paniere Istat dedicato), nonché a valutare la possibilità di recuperare parte della mancata indicizzazione ai fini della rivalutazione una tantum del montante nel 2019.

 

 

Parole chiave

 

Pensionati. Secondo il Rapporto annuale Inps 2015, l’ente paga ogni mese oltre 21 milioni di pensioni per 275,2 miliardi di euro. La platea dei beneficiari è costituita da 5,6 milioni di persone (alcuni di loro incassano più di un trattamento). Quasi 6 milioni di pensionati (il 38% del totale) hanno redditi inferiori a mille euro al mese.

Perequazione. E’ il termine che identifica la rivalutazione dell'importo della pensione legato all'inflazione. Si tratta, in pratica, di un meccanismo attraverso cui l'ammontare dell’assegno pensionistico viene adeguato all'aumento del costo della vita indicato annualmente dall'Istat, in modo da proteggerne il potere d'acquisto.

Trattamento minimo. È l'integrazione che lo Stato, tramite l'Inps, sulla base di  determinati limiti di reddito corrisponde al pensionato quando la sua pensione, derivante dal calcolo dei contributi versati, è di importo molto basso, al di sotto di quello che viene considerato il "minimo vitale". In questo caso l'importo della pensione viene aumentato ("integrato") fino a raggiungere una cifra stabilita di anno in anno dalla legge (per il 2017 resterà ferma a 502 euro).