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APE, PENSIONE IN ANTICIPO PER TUTTE LE CATEGORIE DI LAVORATORI

Nella lotteria delle pensioni, l'unica certezza è costituita dall'Ape (acronimo di “anticipo pensione”). E’ il marchingegno proposto dal Governo (nella foto Tommaso Nannicini, Sottosegretario alla Presidenza del consiglio) che permetterà ai lavoratori vicini alla quiescenza d’intascare l’assegno Inps fino a tre anni di anticipo rispetto all’età prevista per il pensionamento di vecchiaia. Il nuovo strumento, che sarà introdotto in via sperimentale per la durata di due anni, non sarà una vera e propria pensione ma un prestito mensile il cui capitale complessivo sarà recuperato con gli interessi una volta che il lavoratore avrà raggiunto i normali requisiti: ossia 66 anni e 7 mesi se uomo, e 65 anni e 7 mesi se donna, con almeno venti di contribuzione. La restituzione avverrà nell’arco di 20 anni, con un prelievo mensile sulla pensione,  un pò come avviene con la cessione del quinto. Per ogni anno di anticipo si prevede un taglio dell’assegno del 5%, quindi al massimo del 15%. Si tratta comunque di una soglia variabile in base al reddito, che sarà più pesante per gli assegni più alti e più leggera per quelli più modesti. La somma da restituire sarà inoltre gravata da un tasso d’interesse commisurato alla motivazione del pensionamento anticipato e al reddito dell’interessato. Dovrebbe essere introdotto entro la fine dell’anno con la legge di Bilancio, per poi diventare operativo nel 2017. Il documento ufficiale del Governo dovrebbe essere presentato in occasione del prossimo confronto con le organizzazioni sindacali in programma per mercoledì 21 settembre.

Come funziona.  Questo, in estrema sintesi, il meccanismo. Il lavoratore si ritira con un anticipo che al massimo può essere di tre anni rispetto all’età di vecchiaia; percepisce un trattamento (l’Ape, appunto) che, di fatto, rappresenta un anticipo della sua pensione e che verrà poi restituito con una decurtazione dell’assegno previdenziale, entro un limite massimo del 15% e con agevolazioni fiscali per i redditi più bassi, nel momento in cui esso viene maturato, spalmato su un piano di ammortamento di 20 anni. L’anticipo è finanziato dalle banche, ma viene pagato dall’Inps che s’incarica di organizzare le convenzioni con gli istituti di credito. In caso di premorienza prima del saldo, la rata del prestito non sarà girata sul trattamento di reversibilità  ma verrà  coperta da un’assicurazione. Il taglio sarà molto più basso per alcune categorie in difficoltà che il meccanismo intende tutelare, a partire dai disoccupati, dagli invalidi e dalle persone che svolgono attività “gravose” (si parla di operai dell’edilizia, infermieri, macchinisti dei treni e gli autisti di bus e tram). Per loro la penalizzazione non dovrebbe mai superare il 3% l’anno, sempre considerando l’assegno lordo. In molti casi sarà addirittura pari a zero o quasi. A quanto trapela, non ci dovrebbero essere penalizzazioni per chi percepirà un assegno fino a 1.500 euro lordi al mese. Il taglio arriverebbe all’1% l’anno per chi prende 2mila euro e salirebbe al 3% per gli assegni da 3mila euro al mese lordi.

Qualche esempio pratico. Facciamo qualche esempio per capire meglio. Il signor Franco, classe 1952, lavora in una ditta commerciale e ha un figlio disabile. Rientra tra le categorie tutelate. Dovrebbe andare in pensione a novembre del 2018, ma decide di anticipare l’uscita dal lavoro a novembre 2017. La sua pensione sarebbe di 1.400 euro lordi al mese, e tale resterà, in quanto al di sotto della soglia che non prevede tagli in caso di uscita anticipata. Altro caso e riguarda la signora Maria, un’operaia specializzata nata nel 1953. La sua azienda è in difficoltà, lei è in cassa integrazione. Ma a marzo del prossimo anno non avrà più nemmeno quest’aiuto perché le scade l’ammortizzatore sociale. Dovrebbe andare in pensione a luglio 2019 ma sceglie di anticipare al luglio 2017, due anni prima. Anche lei, come disoccupata senza protezione, rientra tra le categorie tutelate ma la sua pensione da 1.700 euro lordi al mese supera di poco la soglia dei 1.500 al di sotto della quale non ci sono tagli. Perderà l’1% per anno di anticipo: l’assegno scende a 1.666 euro lordi al mese. Vediamo infine la situazione di un coetaneo della signora, l’ingegner Francesco anch’egli della classe 1953. Ha uno stipendio di 50 mila euro lordi l’anno, intorno ai 3.500 euro lordi al mese (quattordicesima compresa). Dovrebbe andare in pensione a settembre 2020 ma decide di lasciare il lavoro nel settembre del 2017 con l’anticipo pensionistico, tre anni prima. Il suo è un anticipo volontario, non rientra nelle categorie tutelate: avrà una penalizzazione sull’assegno lordo del 15%. Il suo assegno Inps di 2.500 euro lordi scenderà a 2.125 euro lordi al mese.

Ma davvero conviene? A questo punto viene spontanea la domanda: ma davvero l’Ape conviene? Quale lavoratore, prendendo un assegno nella gran parte dei casi intorno a mille euro, potrà sopportare un taglio dello stesso per 20 anni, sia pure minimo? Probabilmente solo chi è in condizioni di estremo bisogno, perché ha perso il lavoro e non riesce a trovarne un altro. Per evitare l’ennesimo flop sulla previdenza (leggi il part-time agevolato) il Governo dovrà mettere in campo detrazioni che abbattano sul serio il taglio dell’assegno conseguente alla rata di rimborso e dovrà farsi carico del costo dell’assicurazione. Prendiamo ad esempio una pensione lorda da 15mila euro all’anno. Chiedere l’Ape per lasciare il lavoro due anni prima, significherebbe un prestito da 30 mila euro. Un lavoratore con una trentina d’anni di servizio potrebbe domandarsi se non gli convenga utilizzare il Tfr e poi ricevere una pensione piena, anziché chiedere il prestito e avere poi una pensione penalizzata per 20 anni, in pratica per sempre. Non a caso, lo stesso Governo accanto all’Ape sta studiando la Rita (Rendita integrativa temporanea anticipata), e cioè la possibilità che il lavoratore ritiri in tutto o in parte il capitale accumulato nel fondo pensione, così da ridurre o annullare la necessità di ricorrere al prestito. Insomma, non basta dire, come ha fatto il sottosegretario Tommaso Nannicini (il consulente economico di Palazzo Chigi) che il prestito previdenziale non prevede rischi “reali,” non essendoci garanzie richieste, ma solo costi finanziari applicati in modo selettivo”.

 

Parole chiave

Ape. Acronimo di “anticipo pensione”. Il lavoratore si ritira con un anticipo che al massimo può essere di 3 anni rispetto all’età di vecchiaia; percepisce un trattamento che, rappresenta un anticipo sulla pensione e che verrà poi restituito con una decurtazione dell’assegno previdenziale (con agevolazioni fiscali per i redditi più bassi) nel momento in cui esso viene maturato, spalmato su un piano di ammortamento di 20 anni.  L’anticipo, pagato dall’Inps, è finanziato dalle banche e sarà garantito (in caso di premorienza) con una coperta assicurativa.

Rita.  Acronimo di “Rendita integrativa temporanea anticipata”. L’anticipo di pensione potrà arrivare anche dal fondo di previdenza complementare, se il lavoratore vi è iscritto e ha accumulato un capitale sufficiente. Il lavoratore potrebbe quindi ridurre l’entità del prestito Ape e quindi delle penalizzazioni, mixandolo con la Rita, riscuotendo in anticipo parte della rendita integrativa.